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che già la disgiungeva da quella d’allora; provò dentro qualcosa a guisa dei fanciulli, i quali svegliandosi al buio, colti da terrore, s’affagottano nelle coltri a segno d’affogare. La sua coscienza si fece codarda; e presa da uno sgomento invincibile, si cacciò su per una scaletta angusta, e si rifugiò in una torretta, che spiccava alta sul tetto della palazzina. Alcuni colombi, che annidavano lassù, turbati fuggirono a stormo per la campagna; ed essa, pensando che quegli innocenti l’avessero in orrore, si rannicchiò in quel luogo immondo, e non ebbe il conforto manco del pianto. Fu quello il momento più amaro della sua vita; ma pur di fuggire la vista di don Marco, sentiva che sarebbe stata lassù tutta l’eternità, come in luogo di penitenza.
Damigella Maria, Margherita e don Marco, giungevano intanto alla soglia della palazzina; e questi veniva messo dentro dalla cieca, in una stanza terrena, dove nella state si soleva raccogliere la famiglia a godere il fresco.
«Maria — disse egli — io aspetto qui suo cognato; vorrei parlargli da solo, gli dica che col suo comodo ci venga un momento.»
La cieca salì con Margherita, e trovato il signor Fedele che stava mangiando col padre Anacleto gli disse: «V’è di sotto una persona che vi vuole....»
Al tono della voce severo, al silenzio di Margherita, egli si levò da mensa, ricambiò col frate alcuni sguardi, discese a terreno, e si vide innanzi a Don Marco. Se l’aspettava e non se l’aspettava; ma da quel fino dissimulatore che egli era, non fece segno di essere scontento; anzi, gli fu incontro colle braccia aperte, come chi accoglie un amico desiderato.
«Fedele — cominciò don Marco — fummo amici da giovani.
«Amiconi, diascolo! In che ti posso servire?...
«In una cosa...; dimmi, in casa tua siete tutti felici?
«Felici! Tu insegni che il Signore felici non ne vuole; ma per quanto si può....