Pagina:Abba - Le rive della Bormida.djvu/353

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«Nè noi voi — ripeteva donna Placidia facendo eco al fratello; e soggiungeva di suo: — che Dio vi benedica, quante volte vi sognai morto nella spedizione del maggio passato!»

Don Apollinare avrebbe voluto far tornare in gola alla sorella queste parole; perchè potevano dare appicco a Mattia per qualche discorso da rimanerne svergognato; ma in quel mezzo l’Alemanno, riconosciuto il campanaro per quello sciagurato tratto come spione dinanzi al suo generale, la notte prima del fatto d’arme in cui egli aveva toccata la sua ferita, gli chiese parlando aspro:

«Voi, da quella volta che foste preso per spia, dove siete stato?»

A quella voce, a quelle parole che gli fecero tremare le vene, Mattia credette d’essere tornato in mano dei crudeli che l’avevano maltrattato, e l’avrebbero moschettato quattro mesi prima, se non sopravvenivano i Francesi, a salvarlo per caso. E dato un tuffo colla mente per cercare qualcosa da rispondere, si trovò a dire la verità, rispondendo:

«Oh, eccellenza! lo dica il signor pievano, se io era una spia; mandi a chiedere alla signora Maddalena, se non le ho portate notizie del suo Giuliano, se non sono stato fino a ieri prigioniero dei Francesi!

«Birbante! — urlò il pievano, a cui quelle parole fecero cigolare gli orecchi, come per un tizzo ardente messovi dentro; — scommetto che voi siete di balla con quel giacobino, vergogna della mia pieve...! Guai a lui, e guai a voi, Mattia! se mai avreste fatto meglio a non venirmi tra piedi...»

E così dicendo era lì per dire all’Alemanno, che quel Giuliano di cui si parlava era stato tanto audace da innamorarsi di quell’angelica Bianca; ma vedendo il modo con cui egli la guardava, abbuiato nel viso, non ebbe cuore di farlo. La povera donna, al nome della signora Maddalena e poi a quello di Giuliano, s’era fatta pallida