Pagina:Abissinia, giornale di un viaggio di Pippo Vigoni, Milano, Hoepli, 1881.djvu/133

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Capitolo sesto. 99

L’accusato introdotto fa atto di umiliazione avanti le pietre, poi racconta il fatto del quale è incolpato: tutti sapevano spiegarsi con molta facilità, parlando con enfasi e con spigliatezza, usando nei momenti di maggior calore nel discorso di fare un nodo sul proprio scemma o su quello di un vicino, poi picchiarvi dei pugni gridando Joannes imut, «per la morte di Giovanni.» È questa una specie di formola di giuramento, sacramentale per chi la invoca. Trattandosi di cose da poco, il governatore pronuncia da solo il giudizio, ma, se la cosa si complica, domanda il parere degli avvocati che uno dopo l’altro si alzano, si portano presso il delinquente e con molta prosopopea emettono il loro parere in proposito.

Sorge allora anche l’avvocato difensore, che interrotto nello svolgimento delle sue idee, chiude alle volte colla mano la bocca al suo patrocinato, se questi vuol mettere il naso nel discorso. Entrarono poi due creduti ladri, che è sperabile avranno a dar conto delle loro azioni commesse solo prima della prigionia, perchè incatenati l’uno all’altro, e giovani entrambi e di diverso sesso. Dopo lunga discussione ne fu rimesso il giudizio ad altra seduta.

Trattandosi di cause civili o di ladruncoli, un governatore può essere giudice, ma per grossi ladri, per cause importanti, o per chi è scoperto ladro per la seconda volta, bisogna ricorrere al tribunale del re. Per fatti politici si condanna ad esser relegati sulla vetta di una montagna, custoditi da soldati, e dove bisogna lavorare il terreno per procurarsi da vivere; chi è scoperto di apertamente cospirare contro il Re, è acciecato, ma questa pena è ora quasi caduta in disuso; chi pubblicamente sparla della sacra persona di S. M. ha la lingua tagliata; pei ladri la condanna è il taglio della mano destra e del piede sinistro.

L’operazione è fatta da apposito carnefice che stacca queste