Pagina:Abissinia, giornale di un viaggio di Pippo Vigoni, Milano, Hoepli, 1881.djvu/148

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106 Capitolo sesto.

bligava a spazzare le strade da tutte quelle immondezze che da mesi le infestano. Mi passano accanto i due incatenati che l’altro giorno comparvero al tribunale del governatore: sono accompagnati da soldati e diretti appunto al secondo interrogatorio e forse a sentirsi la sentenza: mi avvicinano e mi supplicano colle lagrime agli occhi che mi interessi a perorare per loro. La donna non bellissima ma un tipo simpatico, l’uomo un bel giovane dall’occhio intelligente. Non scorderò mai l’impressione che mi produsse, col contrasto di questa folla gaja ed irrequieta, un certo istante in cui questo disgraziato, alzando il braccio che gli restava libero dalle grosse catene, e con esso sollevando artisticamente il manto, tese l’indice al cielo e con voce tremante lo domandò testimonio della sua innocenza. In quel momento ho visto un poema di verità in questi compagni di sventura, e un pittore ne avrebbe certo fatto soggetto ad un quadro.

Prima di sera andiamo a far visita al governatore per portargli i regali destinatigli. Una massa di popolo e di soldati stanno avanti l’abitazione in cui siamo ricevuti, e dove noi terremmo i maiali. Egli ci sta però in compagnia della sua mula che ha l’ardire di allungarsi fino a mangiare i pochi fili d’erba che formano sedile e cuscino di Sua Eccellenza. Fatti i soliti complimenti, si fanno entrare i servi che gli stendono ai piedi dodici metri di tela, cinque di velluto, due bottiglie fantasia piene di liquori, quattro pacchi di candele, un candeliere di vetro argentato, avanzo del massacro che della sua specie si fece durante il viaggio, due specchi, qualche scatola fiammiferi. Tutto fu molto bene accetto, e parve soddisfatto della nostra generosità. Il vecchio Desta, assunta un’aria di importanza che a noi pareva ridicola, faceva la spiegazione degli oggetti. Il governatore era affabile ma altrettanto sucido; dovemmo scusarlo quando ci fu spiegato che perdette da un mese suo padre, e in segno di lutto non s’era da quel funesto giorno più cambiata la camicia, e Dio sa fin quando non la cambierà.