Pagina:Abissinia, giornale di un viaggio di Pippo Vigoni, Milano, Hoepli, 1881.djvu/210

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144 Capitolo ottavo.

ai tempi di D’Abbadie e di Ruppel esisteva ancora una certa organizzazione, si usavano certe etichette nei ricevimenti, nei costumi trasparivano principi di eleganza, di effeminatezza: si parlava allora di tinture agli occhi, di profumi sulla testa, si adoperava un elegante ed originale bornus da signora in seta azzurra e gialla con ricami caratteristici a colori. Cose tutte che oggi sono quasi scomparse perchè le continue guerre hanno devastato il paese, e la miseria generale ha portato la trascuratezza del superfluo e la svogliatezza dell’attendervi.

Oggi mi pare che l’abissinese può dividersi in tre categorie: quelle dei così detti grandi che hanno cariche civili, militari o religiose: quella dei benestanti, se così si possono dire, che corrispondono al nostro medio ceto, e che per eredità di famiglia, per speciali favori o per ricompensa ebbero dal re il dono di terre, e dal ricavo di queste vivono: l’ultima classe è la povera, anzi poverissima, quella degli agricoltori, se così si possono chiamare quelli che grattano un po’ di terreno per spandervi del grano e senz’altro raccoglierne i frutti qualche mese dopo. Questa classe, che infine è quella che pensa alla sussistenza di tutti quanti gli Abissinesi, è ritenuta l’infima e quasi tenuta in conto di spregio, chè in paese considerano il coltivare la terra come il più basso grado di avvilimento per un uomo. E pensare che sono i soli individui, si può dire, che in Abissinia lavorano. Chi vi si adatta sono i pochi che annidano sentimenti umani nel cuore e preferiscono le affezioni della famiglia alle emozioni delle armi, e della vita errante, oppure quei disgraziati seminudi e semi-schiavi che non poterono mai giungere a procurarsi un cencio ed un’arma tanto da rendersi capaci di seguire un corpo qualunque d’esercito. Questo è la vera piaga del paese, che essendo il soldato mantenuto e godendo del beato far niente tutta la giornata, il sogno d’ogni abissinese è di diventarlo, e tutte le braccia robuste sono così tolte all’agricultura.