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Pagina:Abissinia, giornale di un viaggio di Pippo Vigoni, Milano, Hoepli, 1881.djvu/253

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Capitolo nono. 181

che con una mano rialza fino a coprirsi metà del viso, il capo scoperto e divisi i capelli in cinque larghe trecce, sta il grande re dei re. Su un cuscino il revolver, appeso alla parete, dietro lui, il suo fucile e il suo scudo di guerra ornato di placche d’argento. Entriamo, facciamo un inchino, ci stende la mano che ognuno stringe, poi ci disponiamo in semi-circolo avanti al reale angareb.

Per mezzo di ras Alula, suo grande amico, domandò della nostra salute, del nostro viaggio, e dopo poche parole ci licenziò invitando Naretti ad un’udienza per l’indomani, offrendoci ancora la mano. Mi parve avesse l’aria preoccupata, fisonomia sofferente, parlava a bassa voce, una freddezza glaciale; la mano, solo offerse, ma non strinse la nostra, ed era scarna e gelida.

Usciti da qui ci fecero girare la cinta, finchè confinante con questa, dal lato di levante, trovammo uno steccato nel quale entrammo; era il recinto a noi destinato; grande onore e prova di fiducia, perchè proprio confinante coi reali palagi. Vi troviamo un gran tucul ed uno in costruzione, che gli ordini non erano stati ancora completamente eseguiti, per cui riservando la capanna ai Naretti, vennero subito a piantare una gran tenda che ci venne destinata; nientemeno che la tenda particolare del re quando sta in campagna; è assai vasta, ma semplice, di stoffa di cotone bianco del paese, fatta a fettucce e sostenuta da un palo al centro e molte corde alla periferia.

I due protestanti s’erano accollati a noi e ci seguirono dal re e nel nostro campo, con una impudenza eccezionale, mi è forza dirlo, dacchè seppi che volevano abusare di noi e non avevano nessun permesso del re per presentarglisi. Come colla religione si fa presto a compromettersi in questo paese, Naretti ne parlò subito a qualcuno della Corte, dichiarando che non avevano nulla a fare nè con lui nè con noi, e fu quindi subito fatta piantare un’altra tenda per loro.