Pagina:Abissinia, giornale di un viaggio di Pippo Vigoni, Milano, Hoepli, 1881.djvu/252

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180 Capitolo nono.

che da ogni lato si distendono e circondano un’altura elittica, pure tutta sparsa di attendamenti, e la cui vetta è cinta da una muraglia sulla quale si innalzano alcune acacie e qualche tetto conico. È questa la reggia; è là che fra pochi minuti ci troveremo al cospetto del re dei re. Attraversiamo il forte dell’accampamento; tende e capanne meschine, ma a migliaia; soldati che se ne stanno rannicchiati a crocchi, altri che ci vengono incontro per curiosità, donne che lavorano alla farina, al pane, al tecc, altri che stanno costruendo il loro tugurio. Il movimento e l’originalità non sono certo gli elementi che fanno difetto; peccato che gli occhi nostri non bastino ad abbracciare tanta immensità di cose belle, nuove, grandiose, e tanto meno la penna possa ritrarle in modo da rendere solo una lontana idea di quanto ci si parava dinanzi. A pochi passi dalla vetta ci fermiamo e scendiamo da cavallo; una folla immensa ne circonda e mille commenti si fanno su noi; siamo invitati a proseguire. Un imberbe, dall’occhio vivace e dal naso arcuato ne viene incontro, saluta con enfasi Naretti e ci annuncia che eravamo aspettati solo domani; è il primo cerimoniere di Sua Maestà. Per una piccola porta custodita da soldati entriamo nella cinta; attraversiamo un gran tucul in cui stanno molti soldati seduti a discutere e giuocare e custodire le artiglierie che scorgiamo in un angolo; passiamo in altro vasto tucul in cui stanno cavalli e mule del re e il trono delle udienze coperto con tela, ma del quale mi è dato scorgere qualche lembo di stoffa di seta e ricami in argento. Il momento sublime è imminente e l’emozione prende una gran parte alla freddezza che sarebbe necessaria, quando per osservare si vorrebbe essere tutt’occhi e tutt’orecchi. Usciti da questo secondo tucul, a pochi passi se ne presenta un terzo in cui siamo immediatamente ammessi; piccolino, ma di una eleganza originale; il suolo coperto da tappeti d’Europa: sopra un divano fra cuscini di seta, accovacciato all’abissinese, avvolto nel suo scemma,