Pagina:Abissinia, giornale di un viaggio di Pippo Vigoni, Milano, Hoepli, 1881.djvu/317

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Capitolo dodicesimo. 233

riose sono le abitazioni tutte appoggiate al versante delle alture, in pietra, rettangolari, lunghe, basse, con una specie di porticato sul davanti, il tetto piatto, in terra, talchè spesso vi stanno pascolando le pecore. Tutta la strada è continuamente ingombra dal seguito di ras Alula, del quale verso l’una raggiungiamo ii campo, che occupa uno spazio estesissimo, al centro del quale, su un’altura, sorgono le tende del capo.

Ci riceve assai cordialmente, ci fa piantare una tenda e subito ci regala di una vacca, pane, tecc, birra.

Qual baraonda sia un corpo d’esercito abissinese in marcia, è impossibile dire e figurarsi. La minor parte sono quelli che si possono chiamare soldati, i veri combattenti; del resto vecchi, donne, ragazzi, che nel maggior disordine seguono le tracce del capo che marciando pel primo indica la strada.

Quasi ogni soldato porta seco la propria famiglia, tutti poi indistintamente sono seguiti da donne che macinano il grano e preparano il pane. Il capo alla mattina leva le tende, e questo è segno di partenza: tutti allora vi si apparecchiano e la gran sfilata comincia. Lo stato maggiore in testa, poi una coda interminabile di ragazzi che portano le armi, di vecchi carichi delle tende o di qualche utensile, di donne che hanno sulle spalle bambini da latte, otri, pelli colle provviste di farina, e persino le pietre per macinare.

Di questo modo non si possono fare che due o tre ore di marcia al giorno, che ancora gran parte non arriva che la sera e alle volte la mattina dopo. Appena giunti comincia il momento di grande attività, chè ognuno pensa a piantarsi la propria tenda od a costrursi una piccola capanna, e la donna a preparare il necessario per mangiare: una vera processione si stabilisce presso i pozzi, in qualche punto si ammazza qualche bue; una tenda maggiore delle altre, attorno alla quale si vede un grande affacendarsi, è la sede scelta per un ufficiale.