Pagina:Abissinia, giornale di un viaggio di Pippo Vigoni, Milano, Hoepli, 1881.djvu/318

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234 Capitolo dodicesimo.


La sera in cento diversi punti si accendono dei fuochi e questo dà all’accampamento un aspetto doppiamente grandioso.

Nella notte siamo svegliati da suoni di tromba, canti, gridi, pianti: è un grande che se n’è ito al creatore, e così se ne dà l’annuncio è si mostra il dispiacere della sua partenza per l’eterno viaggio. La mattina dopo tutti si recavano in processione alla sua tenda per dargli l’ultimo addio.

Nella giornata siamo anche noi continuamene visitati da una massa di importuni, che non ci disturbano meno di un acquazzone tanto forte e insistente, che l’essere sotto la tenda era divenuto perfettamente come l’essere a cielo aperto.

Le mule col nostro bagaglio non hanno potuto fare ieri tutta la lunga marcia che abbiamo fatto noi, per cui la mattina del 18 ci è forza aspettare che ci raggiungano per proseguire assieme. Mentre stiamo aspettando vengono ad annunciarci che due dei nostri servi furono legati, e noi siamo invitati a presentarci al capo.

Ras Alula fece infatti introdurre in nostra presenza i due prigionieri: Yavolet-ciarkos, un bravissimo giovane che da Massaua ci aveva accompagnati durante tutto il viaggio, che lasciammo a Debra Tabor con Bianchi e che ci raggiunse speditoci quale corriere a portarci la lettera del re; il secondo altro buon giovane che da poco era al nostro servizio. Tutti due nativi dello Scioa, e ras Alula fece dichiarare a noi e giurare al capo dei nostri servi che non avevamo altri dello Scioa addetti al nostro servizio. Si visitarono da capo a piedi, nelle pieghe dello scemma, si tagliarono persino i sacchettini di pelle coi talismani che portano al collo, si fece loro subire un interrogatorio, poi ci fu dichiarato che non si potevano rilasciare, e che anche noi non l’avressimo passata molto bella se ras Alula avendoci conosciuti dal re, non avesse visto quanto gli eravamo amici. Unico mo-