Pagina:Abissinia, giornale di un viaggio di Pippo Vigoni, Milano, Hoepli, 1881.djvu/83

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Capitolo quarto. 57

giunto al naib o capo dei territorii che dovevamo attraversare coi camelli, di accompagnarci fino ai confini dei suoi dominii; e perchè i nostri ordini fossero eseguiti ci fornì una scorta di quattro soldati, che per dir vero sono d’imbarazzo più che d’aiuto.

Verso le due, una fila di una quindicina di camelli col bagaglio nostro e della famiglia Naretti, scortato dal nostro bravo Tagliabue, che colle sue lunghe gambe, armato di tutto punto, inforcando una magra mulettina, poteva rappresentare un bellissimo Don Quichotte, partiva per Omkullo, dove ci avrebbe aspettati per la sera. Alle cinque infatti anche le nostre mule erano sellate e la lunga carovana cui si erano aggiunti parecchi amici che ci vollero accompagnare fino alla prima fermata, usciva per la diga salutata da mezza Massaua che echeggiava delle grida di evviva, salute, buon viaggio e felice ritorno. Eccoci finalmente a quel sospirato momento in cui si può realmente dire il nostro viaggio comincia; quanti pensieri, quanti sogni in quel vasto orizzonte che mi sta davanti, quante speranze vanno a realizzarsi, quale fantasmagoria di cose nuove e interessanti va a schiudersi davanti agli occhi miei; ma in pari tempo ogni passo mi allontana dai miei cari, e dietro me quasi si chiude ogni comunicazione con loro.

Queste idee mi turbavano la mente, ma una voce misteriosa mi suggeriva d’essere uomo, di farmi superiore a me stesso e mi faceva trovar svago nell’ammirare la scena che mi circondava, e forza nelle speranze e nelle soddisfazioni dell’avvenire. A notte fatta arriviamo ad Omkullo, dove troviamo le casse disposte presso il villaggio, e qui stabiliamo il nostro accampamento; una frugale, ma allegra cena, finì coi brindisi e i saluti agli amici che ci avevano accompagnati, e che con una splendida luna se ne tornarono in città, lasciando in noi profondo il desiderio di stringere loro ancora una volta le mani prima di far ritorno in Europa.