Pagina:Abrabanel, Juda ben Isaac – Dialoghi d'amore, 1929 – BEIC 1855777.djvu/436

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430 nota

che ne sappiamo è in una breve notizia del medico israelita e marrano Amato Lusitano1, datata da Salonicco, 1559:

Jehudah Abarbanelius, magni illius Jehudae sive Leonis Abarbanelii platonici philosophi, qui nobis divinos de amore dialogos reliquit, nepos... aetate XXVII amorum... supremum diem obiit, non sine doctorum hominum dolore. Philosophiae namque, ut obiter hic dicam, apud se librum iustae magnitudinis, quem avus suus composuerat, reservatum habebat, cui de coeli harmonia titulus erat, non nisi longobardicis litteris inscriptus, et quem bonus ille Leo, divini Mirandulensis Pici precibus, composuerat, ut ex eius proemio elicitur. Quem librum ego non semel percurri et legi et, nisi mors immatura nepotis huic ita praevenerat, eum brevi in tempore in lucem mittere decreveramus. Est sane opus hoc doctissimum, in quo bonus ille Leo, quantum in philosophia valebat, satis indicaverat, scholastico tamen stilo inscriptum.

Donde si rileva: che il nipote di Leone (cioè il figlio del fanciullo trafugato in Portogallo nel 1492) conservava ancora nel 1559 un manoscritto del filosofo, probabilmente autografo; che questo manoscritto, consultato fruttuosamente dai dotti, conteneva un trattato, di giusta mole, intitolato De coeli harmonia; che questo titolo era scritto solo in lettere «longobarde», cioè con la corrente scrittura lombarda, e, stando alle apparenze, in latino, certo non in ebraico; che dal proemio si ricavava essere stato il libro scritto a istanza di Pico della Mirandola; che l’opera, dottissima, era redatta in istile scolastico. Lo Zimmels2, osservando che Giovanni Pico era morto nel 1494, suppone che l’ispiratore dell’opera fosse Francesco Pico suo nipote: ma l’espressione «divini Mirandulensis Pici» non lascia dubbio che si tratti proprio del primo. E pertanto l’opera, per la data probabilmente anteriore e per il contenuto presumibile dal titolo, si dovrebbe considerare un primo saggio delle idee svolte nella parte centrale del II dei Dialoghi d’Amore; il che forse può rendere meno vivo il rimpianto della dispersione, avvenuta per la morte del nipote del nostro, se si deve tenere in considerazione il fatto che questa morte era motivo al Lusitano per rinunciare al suo progetto di edizione del libro3.



  1. Curationum medicalium centuriae septem, t. II (Venezia, 1566), p. 152 (Cent. VI, cur. 98).
  2. N. Studien cit.
  3. Il Graetz, op. cit., IX, 226, opina che nel De coeli harmonia si dovessero trovare le dottrine piú profonde di Leone: ma, per quanto si può congetturare, non sembra che abbia ragione.