Pagina:Acri - Volgarizzamenti da Platone.djvu/152

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entro all’amore porge un color sangue, lo chiamiamo rosso. Il colore splendido, misto al bianco e al rosso, torna in giallo: ma in quali misure s’abbino a mischiare, avvegna che persona lo sapesse, dirlo non saria da prudente, perchè non se ne potrebbe assegnare alcuna pruova vuoi necessaria, vuoi probabile. Rosso temperato con nero e bianco, torna in purpureo; e in cupo bruno, quando ai detti colori misti e bruciati si mosce più nero. Il fulvo nasce dalla meschianza del giallo e del bruno il bruno, da quella del bianco e nero. Il pallido dal bianco temperato a giallo. Se bianco si sposa a colore splendente, e s’abbatte in nero cupo, si fa colore azzurro. Da azzurro temperato a bianco, si fa il cilestre. Da azzurro temprato a nero, si fa il verde. Dopo spiegati questi colori, è chiaro da quali contemperanze nascano probabilmente gli altri. Se persona attendesse sul serio a prendere sperienza di tutto questo, ella disconoscerebbe la distanza ch’è fra la datura umana e la divina, cioè a dire che soltanto Dio può meschiare il molto nell’uno, e sciogliere novamente l’uno nel molti, perciocchè è sapiente e insieme potente; uomo al mondo non può fare giammai nè l’una cosa nè l’altra, nè ora nè appresso.

Il fabbro dell’opera più bella e più buona pigliò, dal seno delle cose che si generavano, tutte queste, ch’erano allora così fatte naturalmente dalla necessità. E fe’ ciò quando generava il Dio sofficiente a se e perfettissimo, giovandosi in tal modo altresì di