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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/11

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L'AVARCHIDE

DI

LUIGI ALAMANNI

CANTO I

ARGOMENTO

      Per l’acerbo parlar del reo Gaveno
ira s’accendon Lancilotto e Arturo,
Nè le offese fra loro hanno più freno,
Nè val consiglio di guerrier maturo;
Chè Lancilotto, pien d’aspro veneno,
Di partire dal campo in cuor fa giuro;
Ma consolato dalla madre, a parte
Riman co’ suoi, lungi dal fero Marte.

i
     Canta, o Musa, lo sdegno e l’ira ardente
Di Lancilotto del re Ban figliuolo
Contra ’l re Arturo, onde sì amaramente
Il britannico pianse e ’l franco stuolo;
E tante anime chiare afflitte e spente
Lasciar le membra in sanguinoso duolo,
D’empi uccelli e di can rapina indegna;
Come piacque a Colui che muove e regna.
ii
     Or chi fu la cagion di tanta lite?
Gaven, che dell’Orcania era signore,
Che portò invidia a le virtù gradite
Di Lancilotto, e gli pungeva il core,
Che per opra di lui fosser fallite
Le nozze ch’ei bramò con troppo ardore
Di Claudiana di Clodasso figlia,
Che fu bella e leggiadra a maraviglia.
iii
     Ma, temendo di lui, gran tempo tenne
L’uno e l’altro dolor nel petto ascoso,
Fin che Tristan con le sue genti venne:
All’arrivar del quale il re famoso
Fe’ ’l consiglio adunare, ove convenne
Ogni duce maggiore, onde fu oso
Di dar principio alle dannose risse;
E drizzatose in piedi così disse:
iv
     Invittissimo Arturo, poi ch’io veggio,
Che tutto il Cielo a’ vostri onori aspira;
E che nulla temenza avem di peggio,
Che ne possa d’altrui fare ingiust’ira;
D’aperto palesar divoto chieggio,
(Come colui ch’al suo dover rimira)
Quel ch’a voi sia vergogna, e strazio e morte
A chi segua di voi l’istessa sorte.
v
     Qui con voi tanti duci avete e tali,
Tanti gran cavalieri, e tanti regi,
Che di quanti mai furo, e fien mortali
Riportar ne porrian le palme, e i pregi;
Se non fosse tra lor chi gli immortali,
(Non pur simili a noi) par che dispregi;
E non sol voi, ma Chi nel cielo ha regno
(Cred’io) che tien di comandargli indegno.
vi
     Questi per sempre aver l’impero in mano,
E voi signoreggiar con gli altri insieme,
Fa d’ora in ora ogni disegno vano
Del lungo assedio, che i nemici preme;
Tal che ’l fin è più che già mai lontano,
E men ch’al cominciar si mostra speme
D’espugnar più lo sventurato Avarco,
Che prender si devea nel primo varco.