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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/12

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vii
     E certo si prendea, con tutto quello
Che ’l nemico Clodasso oggi possiede,
S’allor che ’l crudo esercito rubello
Pose in Brettagna l’infelice piede
E che Vittorio e Massimo il fratello
Fur dell’oste di voi famose prede
Alcun de’ vostri che presenti sono
Non ne faceano al padre ingiusto dono.
viii
     Seguì ’l medesmo poi non di qui lunge,
Ch’egli ebber Claudïana prigioniera;
Così ’l secondo a quel primiero aggiunge
Danno pipiù grave e di peggior maniera,
Perchè tenero amor di costei punge
Tale il paterno cor, che in una sera
V’aria dato quant’ha lontano e presso,
I figliuoi, la corona e poi se stesso.
ix
     E l’uno e l’altro apertamente fero
Senza vostro congedo e senza voi,
Per ben mostrar ch’ogni potere intero
Era in lor soli sopra gli altri eroi.
Or chi ciò stimerà fallo leggiero
Qual può grave chiamar peccato poi?
E chi ardisce cotanto non suggetto,
Ma imperadore e re puot’esser detto.
x
     Or quel ch’esser deveva utile a voi
Senza fine a voi nuoce, ad altrui giova:
Però che ’n sicurtà di tutti i suoi,
Non molto ha Claudïana si ritruova
Sposa di Seguran, c’or verso noi
Farà più che giamai di vincer pruova,
Con virtù rischiarando ove fortuna
D’oscura povertà forse l’imbruna.
xi
     E troppo è da temer, ch’egli è pur certo
Del buon sangue illustrissimo del Bruno;
E s’ei non passa, aggiunge quasi al merto
Del cortese Girone invitto ed uno:
Molto è in consiglio e più nell’opre esperto,
Onorato e gradito da ciascuno;
Ha molti cavalier, molti altri a piede,
Poi sopra tutti il forte Palamede.
xii
     Ma perchè ’l ragionar del tempo andato
Par più di sconsolato che di saggio,
Più lungo non farò, poi che sfogato
Quel che nascosi lungo tempo v’aggio:
Vi dirò sol che poi che ’l Cielo ha dato
Al buon Tristan per noi lieto vïaggio
Si ricorreggan quei che torti andranno,
Richiudendo ogni varco al nuovo danno.
xiii
     Qui si tacque e rassise e ’n mantenente
Surge all’incontro il fero Lancilotto
Con gli occhi accesi e con la faccia ardente;
E con turbato suon tremante e rotto
Disse: Chi fugge tra l’armata gente
Sempre in biasmar i buon fu ardito e dotto,
E la chiara virtù che non è in lui
Oscura quanto può sempre in altrui.
xiv
     Ma se non fosse l’alta riverenza
Ch’al nostro re, qual’è dovuta, porto
V’avrei di tutti i vostri alla presenza,
Per non mi far disnòr, non dirò morto
Ma la testa lassata e ’l mento senza
Gli effemminati velli, e ’l collo attorto
D’uccello in guisa, e fatto eterno esempio
A i falsi accusatori il vostro scempio.
xv
     Che se ben non diceste il nome mio,
Nè di farl’anco sète degno assai,
Bene intendo, Gaven, che son quell’io
Ch’Arturo e tutti i suoi sempre spregiai:
Che quanto sia menzogna sallo Dio,
Che sa ben ch’altra cosa non bramai,
Dapoi ch’io porto lancia e cingo spada,
Che di far notte e dì ciò che gli aggrada.
xvi
     E senza ragionar de merti vostri
Confermo ch’io rendei certo a Clodasso
I due suo’ figli, ch’eran prigion nostri,
Presi da me nel periglioso passo
Quand’io, salvando di Britannia i chiostri;
Fui nel sangue de’ lor vermiglio e lasso,
E feci sì ch’ei non si vantan oggi
D’aver troppo calcati i vostri poggi.
xvii
     E s’io volsi del mio fare altrui dono
(ch’eran miei di ragion, poi ch’io gli presi)
Perchè accusato a sì gran torto sono
Che del mio re la maëstate offesi?
Non avrebbe Clodasso in abbandono
Per questi due lassato i suoi paesi;
Poscia io non son, come voi sete, avvezzo
Di guerra i pregionier vendere a prezzo.
xviii
     E se nell’espugnar di qua dal mare
Benicco, il luogo dov’io nacqui prima,
Mi venne in sorte d’ivi ritrovare
Del re la figlia, e non ne fei la stima
Ch’io veggio al vulgo ed a voi stesso fare
Come di spoglia veramente opima,
Ma, qual si convenia con donna tale,
La rimandai nell’abito reale;
xix
     Devreste voi però tanto biasmarme
E metter tra i superbi e tra i rubelli?
Non volsi come avaro conservarme
A miglior tempo lei co’ suoi fratelli,
Ch’io cerco usar contr’a gli armeti l’arme,
E non contra i legati e poverelli,
Nè cangerò voler per altrui voglia,
E seguane a chi può piacere o doglia.
xx
     Debbon esser nemici i cavalieri
Mentr’hanno spada in mano o lancia in resta,
Ma cortesi, pietosi, amici veri
Come scarca dell’elmo aggian la testa:
I fatti come voi stan crudi e feri
Più che leoni o torbini o tempesta
Verso i prigion, verso le donne umili,
Quanto verso i guerrier timidi e vili.