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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/124

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xc
     Però che innanzi a quei, poco lontano,
Creuso il Senescial locato avea,
Ch’a molti cavalier duce e sovrano
L’impeto de i nemici sostenea;
Così come più avanti il buon Tristano
Con Boorte il medesimo facea:
Sì che ’l furore ostil da doppio intoppo
Non può a gli altri, interrotto, nuocer troppo.
xci
     Or quando ivi arrivato il grande Arturo
Vede il saldo lavor di Maligante
Che ’l resto del suo campo fea sicuro
Non men di quello istesso ch’era avante,
E de i carri ivi stesi il forte muro
Che soprastava altero e minacciante,
Ch’a pena cominciò quando è partito,
E nel ritorno suo trova compìto,
xcii
     Tutto alto gli dicea: Deh, quanto vale
D’un saggio duce sol l’accorto avviso?
Per voi, gran re di Gorre, d’ogni male
Oggi fia il nostro esercito diviso,
E può lieto posar ch’un loco tale
Non possa in lungo tempo esser conquiso
Da numero maggior che quei non sono,
S’anco il popol ch’aviam fosse men buono.
xciii
     Nè men gloria è di voi, nè men devreste
Di palme andare inghirlandato e cinto
Che se con chiara man del tutto aveste
L’avversario che vien battuto e vinto:
Ch’or con questo consiglio gli toglieste
La vittoria, e ’l sperar gli avete estinto;
Nè men si dee lodar chi i suoi difenda
Che chi gli aspri nemici armati offenda.
xciv
     Così detto s’arresta ove l’entrata
Che nel mezzo apparia distorta assiede,
Con doppia porta, e ’n guisa fabbricata
Che la prima di lor l’altra non vede.
Ivi dispon l’altera sua brigata,
Che mai sempre di lui seguita il piede,
Alla sua destra stesa ed alla manca,
Ove in alto surgea l’insegna bianca;
xcv
     Con quell’ordin medesimo che suole
Il pio cultor, ch’al rapido torrente
Che non depredi i campi occorrer vuole,
E ’l vede al contrastar troppo possente,
Che ’n più luoghi gli oppone argine e mole
In fin che sieno alle sezzaie spente
In tal maniera le rabbiose forze
Che le pendenti piagge poco sforze.
xcvi
     E Tristan, che lassato ha il suo destriero
In man di Blomberiffe ed ha ripreso
Il settemplice scudo, e ’n su ’l sentiero
Verso i molti nemici è innanzi steso,
Quanto puote in sembiante ardito e fero
Tutto del lor furor sostiene il peso:
Poi con la spada in giro si discioglie
Dalla turba mortal ch’ivi s’accoglie;
xcvii
     Indi il piè ritirando a poco a poco,
Della fuga de i suoi sostegno viene:
Così gli scorge a quel serrato loco
In cui sien fuor di tema e fuor di pene.
Ma tale intorno a lui s’accende foco,
Che comincia a mancargli forza e spene
Di poter adoprar per questo verso
Che non rimanga in cenere converso;
xcviii
     Tal che stringendo al fin necessitade,
E rimirando i suoi securi omai,
Con più veloce andar calca le strade,
Non ascondendo pur la fronte mai.
Allor da diversissime contrade,
Più che facesser pria, crescono assai
Sopra lui lance, dardi, frombe e strali,
Ch’ad ogni altro ch’a lui foran mortali;
xcix
     Ma il gravissimo scudo e ’l fino acciaro,
Onde tutte le membra aveva cinte,
Ad ogni aspra percossa eran riparo,
Nè le lassan di sangue esser dipinte.
Ma de i colpi il romore agro ed amaro
Della testa e del cor quasi hanno estinte
Le sue parti vitali, ed a lui danno,
Assai più che timor, periglio e danno.
c
     E qual fero leon soverchio oppresso
Di cani e cacciator da turba folta
Che schivando il morir s’avventa spesso
Verso i villan, nè mai le spalle volta,
Ma nel passo voltar si scorge in esso
Poco di quei timore, e rabbia molta,
Perchè movendo il piede altero e tardo
Or minaccia co i denti, or con lo sguardo;
ci
     Tale il forte Tristan ritragge il piede
Verso il campo de’ suoi, servando intera
La virtù invitta onde fu chiaro erede,
Nè potè mai piegar fortuna fera:
E quanto più ciascun crudele il fiede,
Già stimando i suoi dì condotti a sera,
Allor con più vigor ratto s’avventa
E quello a morte dà, questo spaventa.
cii
     Qual digiuno asinel, nel campo entrato
Che di fiorite biade il sen ricopra,
Che con verghe e baston da più d’un lato
Di pastorelle stuol si veggia sopra,
Che poi che ’l dipartir molto ha indugiato
Rifuggendosi ancora il morso adopra,
Che il collo stende, e con l’ingorde voglie
Quante spighe ha vicine in bocca accoglie;
ciii
     Tal l’Armorico duce ivi apparìa,
Ch’obbedir’ alla turba gli conviene
Ch’a cavallo ed a piè spietata e ria
D’ogni parte ov’ei va crescendo viene,
Ma indietro ritornando spesso invia
Nel mondo oscuro chi più oppresso il tiene:
Fin che del nuovo fosso giunto all’alto
Sovra il vallo ch’avea passa in un salto.