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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/123

Da Wikisource.

lxxvi
     L’accorto Bandegamo in altra parte
De i subiti consigli ammaestrato
Or a questo or a quel discuopre l’arte
Ch’usar si deggia in simigliante stato:
A chi minacce, a chi prieghi diparte,
E si ritruova presto in ciascun lato;
E per essempio dar come s’adopre
Quinci e quindi con lor pon mano all’opre.
lxxvii
     Il felice Abondan l’istesso face,
Nè men Lucano il Brutto ed Egrevallo,
In quel modo adattando che conface
A chi più rappresenti argine e vallo,
Sollecitando ognor mentre la pace
Non può lor disturbar uomo o cavallo,
Chè ritenuto a forza era lontano
Del valor di Boorte e di Tristano.
lxxviii
     Blanoro e Gossemante, il core ardito,
Mandrino ed Ozzonelio d’Estrangorre
Con molti cavalier nel vicin lito
Per più lor sicurar si vanno a porre,
Che nessun sia impiagato o sia impedito
Da qualche leve arcier, che spesso corre
Non scoperto d’altrui fra gente e gente,
Che via miglior di lui può far dolente.
lxxix
     Così son nel passar di lunghe ore
Sì ben di nuovi fossi intorno cinti,
Che di vedere omai cessa il timore
I marziali alberghi accesi o vinti,
Ma che i molti guerrier che sien di fuore
Dal numero minor sian risospinti:
Tal ch’al nuovo periglio sopraggiunto
Il rimedio e ’l dolor nasce in un punto.
lxxx
     E bene ad uopo vien, che tanto cresce
Il furor de i nemici e lo spavento
Di quei d’Arturo, che del termin esce
Chi di viltà mostrar, che d’ardimento.
Lo stuol Franco e Britanno in un si mesce,
E nessun cura onore o reggimento
Di duce o di guerrier che grida o chiama,
E per suo scampo omai sprezza ogni fama.
lxxxi
     Corre intorno Tristan, corre Boorte,
E di fargli arrestar s’adopra in vano.
Il vecchio re dell’Orcadi sì forte
Ch’esser può ben udito di lontano
Dicendo va: Qual più sicura sorte
Speri trovar nel piè che nella mano,
Popolo abbietto e vil, che non t’accorgi
Ch’al palese morir te stesso scorgi?
lxxxii
     Non t’avvedi tu stolto, che fuggire
In sicurato loco omai non puossi,
Poi che lassato aviamo il varco aprire,
Spianare il vallo e ragguagliare i fossi?
Ben, se rivestirem l’usato ardire,
Del qual senza cagione or sète scossi,
Di tosto rivedere ho ferma speme
Tornar gli argini, i fossi e i valli insieme.
lxxxiii
     Ma poco opra il suo dir, che più che prima
Senza nulla ascoltar fugge lo stuolo:
E ’l gran Britanno re, che pure stima
Che più d’altro onorar deggian lui solo,
Roso dell’ira il cor dall’aspra lima
E di sdegno ripien, colmo di duolo,
Col destrier suo davante s’attraversa
E mordendogli tal la rabbia versa:
lxxxiv
     Se voi fuggite sol, diletti amici,
Per secura portar con voi la vita,
Datemi oggi legato a’ miei nemici,
E fia strada più aperta e più spedita:
Che gir vi lasseran lieti e felici
Ove il molle desio, lassi, v’invita,
Dentro al vostro nativo e dolce loco
Tra le vil femminelle all’ombra e al foco;
lxxxv
     Et io mi rimarrò famoso pegno
Del fidato valor de’ miei guerrieri,
Che di Bacco e Ciprigna al lento regno
Contr’a chi sia lontan son crudi e feri:
Ove Marte alza poi l’armato segno
Al fuggirsi lontan pronti e leggieri;
E del suo imperadore han quella cura
Che ’l pasciuto monton di vil pastura.
lxxxvi
     Le sdegnose parole e i veri detti
D’un sì onorato re di tanto nome
Ben pungean de’ migliori i chiari petti,
Carcando i cor di vegognose some;
E dalla turba vil chiusi e ristretti
Vorrian pur ritornar, ma non san come,
Chè traportati son da quella forza
Qual nave ch’Aquilon percuota all’orza,
lxxxvii
     Che ’n ver lui quanto può drizza la prora
L’animoso nocchier, nè ceder vuole,
Chè ’l cammino acquistato per lunga ora
In un momento sol perder si suole:
Ma poi ch’egli ha dalla surgente aurora
Travagliato al corcar del tardo sole,
Pur conviengli al soffiar che maggior poggia
Contraria la suo desio lentar la poggia;
lxxxviii
     Cotal fan quelli afflitti, che di doglia
E d’onta e di pietà restan compresi
D’esser lordo trofeo, fugace spoglia
De’ suoi nemici sopra loro ascesi:
Ma i piè impediti a così pronta voglia
Non pon bene ubbidir, da troppi offesi;
Così, mal grado suo, co i peggior vanno
All’estremo, qual sia, disnore e danno.
lxxxix
     E ’n tal guisa convien che i buon dien loco
Alla viltà de i rei, questi alla tema,
E come avesser dietro ardente foco
Per più tosto fuggir l’un l’altro prema.
Già son tutti condotti a poco a poco
De’ nuovi fossi su la riva estrema,
Là dove Maligante ed altre scorte
D’entrarvi a sicurtà mostran le porte: