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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/129

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xxxix
     Come vede apparire amici tali
Ch’a tutti altri in amor più innanzi vanno
Doppo il suo Galealto, dice: E quali
Cagion nuove, signor, menati v’hanno
All’albergo di quel che tra i mortali
Vivo è sepolto in infernale affanno?
E così ragionando, e riverente,
Surge all’incontra lor lieto e ridente;
xl
     Poscia fa che Falario, un suo scudiero,
Nuovi seggi a ciascun vicini apporte.
Così alla mensa pur ghirlanda fero
Tutti i cinque soletti, e poi le porte
Fur serrate d’intorno per l’impero
Di Lancilotto; e poi che d’altre scorte
Fu del tutto sgombrato il chiuso loco
Maligante i compagni guarda un poco,
xli
     E ’n cortese parlar dolce gli prega
Ch’ei vogliano a’ pensier la lingua sciorre;
Ma l’uno e l’altro vergognando il nega,
Che braman sopra lui l’incarco porre.
Et esso al fin, ch’al lor desio si piega,
Tacendo alquanto con la mente scorre;
Poi con voce soave e ’n pio sembiante
Così diceva al cavaliero errante:
xlii
     Valoroso signor, quando il ciel vuole
Scorger alcun mortale al sommo onore,
Per vie lunghe, aspre e faticose suole
Tra periglio inviarlo e tra sudore:
Tal che sovente l’uom si lagna e duole,
Che sol discerne quanto appar di fuore,
Di quello onde finito il sentier rio
Grazie ne rende poi divoto a Dio.
xliii
     Simile avvien di voi, per quel ch’appare,
Ch’a sempiterna gloria alzar procura:
Chè per porvi in affanni e ’n doglie amare
Ne i trapassati dì stese ogni cura;
Tal ch’ove più speraste in alto andare,
Di gravissima pietra alpestre e dura
In maniera cotal v’oppresse il volo,
Ch’al centro gìo dove aspirava al polo.
xliv
     Or con ambe le man quindi vi tira
E con sommo favor v’accoglie in seno,
Se vorrete, qual spero, alla nuov’ira
Che vi trasporta ancor por giusto freno:
Perchè del nostro re nel core spira
Dritto voler d’ogni salute pieno
D’esservi amico omai dritto e verace,
E ricercar da voi gradita pace.
xlv
     E per questa cagione a voi ne ’nvia
Tai congiunti d’amor, come sapete,
Perchè più il consentir dolce vi sia
E la credenza in noi n’aggiunga sete:
Che ’l ragionar di lingua amica e pia
Delle dubbiose insidie altrui segrete
Puote il velo squarciar con quella fede
Che nel candido petto ha degna sede;
xlvi
     E perchè il mondo intenda apertamente
Che, quantunque sia re, s’inchina a voi,
Se vorrete la man chiara e possente
In difesa spiegar per tutti noi
E la vostra animosa e fera gente
Col fido Galealto e gli altri suoi
Della chiara britannica sua insegna,
Come facea l’altr’ieri, scorta vegna;
xlvii
     Che quanto ha infino ad or tolto a Clodasso
E quanto nel futuro avere spera
Che non sia di Tristan, là ’ve più in basso
Per distorto cammin discende l’Era,
O del gran Clodoveo, che ’ngombra il passo
Più in alto alla medesima riviera,
E quanto è tra ’l Pirene e la Garona
A voi, come a figliuol, cortese dona.
xlviii
     Poi di sette città nel suo bel nido,
Onde il nome da poi vedrete in carte,
Che sien fra l’altre di più altero grido,
In premio al faticar vi farà parte,
E col bel d’Imeneo legame fido
Lodagante leggiadra, in cui le sparte
Virtù Vener, Giunone e Palla aggiunge,
Di Ginevra sorella, a voi congiunge.
xlix
     E poi ch’avrà per voi di questa guerra,
Col favor delle stelle, amico fine,
Di quel seme miglior che viva in terra
Vi darà genti nostre e peregrine
Per acquistar quanto circonda e serra
Del gran padre Oceano ogni confine,
O, s’amerete il mar, gran legni e navi
D’arme, d’oro e di cibo ornate e gravi:
l
     Onde possiate solo all’alto nome
Di quanti oggi si parla andar di sopra,
E di mille ghirlande ornar le chiome
Il cui chiaro splendor tutt’altro cuopra;
Sì che i regni abbattuti e genti dome
Si mettano al narrar le piume in opra:
Tal ch’a i gran vostri onori aggiano invidia
L’India, i Rifei, l’Iberia e la Numidia:
li
     E benchè tutto ciò render devria
Ogni aspro e duro cor soave e piano,
Non l’ho detto però credendo sia
Quel che muova di voi l’alma e la mano:
Ch’amor solo e pietade e cortesia
Ponno il chiaro figliuol del gran re Bano
Condurre al vendicar d’estrema sorte
Anco i nemici suoi con propria morte.
lii
     Senza dunque parlar d’altra mercede,
Che pur sempre stimar si deve assai,
Muova l’altero cor chi aita chiede
Per trar, chi ha speme in lui, d’estremi guai:
E che ’l gran re di Pandragone erede
Ch’a fortuna o timor non piegò mai,
Ripentito ora a voi tutto si piega
E di voi ricovrar domanda e prega.