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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/159

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lxxxi
     Tal che sopra il caval si regge a pena.
Il medesmo adivien di Florio ancora,
Ch’ha il destro piè ferito ove la vena
Di tutte altre maggior si mostra fuora:
La soleretta omai di sangue è piena,
E la pena spasmosa cresce ognora;
Pur contento d’aver la cara insegna
Soffra con alto cor ciò che n’avvegna:
lxxxii
     Or lassando il re Lago con Tristano
Tutti gli altri compagni, ha seco solo
Patride, che reggeva il buon Toscano,
Et ei Boorte suo come figliuolo.
Così sen vanno, e con parlare umano
Esaltando di lor la gloria a volo
L’Orcado al suo bramato padiglione,
Che poco era lontan, Boorte pone;
lxxxiii
     E mandato con Florio il suo Patride
Col cavalier di Gave si discende,
E ’n man recato alle sue genti fide
Di medico appellar cura si prende.
Ma perchè nel passar da lunge il vide
Lancilotto, e chi sia non ben comprende,
In fin che dall’albergo ove discese
Che sia Boorte pur credenza prese;
lxxxiv
     E ’l fido Galealto immantenente,
Ch’era poco lontan, doglioso appella:
Fratel - dicendo - la presaga mente
Annunzia a’ miei pensier trista novella,
Che quel sia il mio Boorte veramente
Ch’appena si reggea sopra la sella,
Dal compagno condotto, e sia ferito
O delle membra almen forte impedito;
lxxxv
     E nel suo padiglione è già disceso,
Ove non è il fratel, lasso, o Serbino
Che possa al male onde si trove offeso
Impor rimedio col voler divino.
Or se mai fusse a pietose opre inteso,
Dimostratevi a lui dolce vicino,
Sì che l’alta virtù dell’erbe vostre
In sì gran cavaliero oggi si mostre.
lxxxvi
     Tosto il buon re dell’Isole lontane,
Che di verace core amò Boorte:
Non fien -dicea - vostre preghiere vane,
Che ferma speme ho in Dio di torlo a morte.
Indi un fascio prendeo di rare e strane
Radici insieme, e di diversa sorte,
Che dalle apriche piagge fortunate
Di celeste possanza avea recate;
lxxxvii
     Chè, se creder si debbe, ivi ne nasce
Non sol per risanare ogni aspra piaga,
Ma per far ritornar com’era in fasce
Qual uom più curvo la vecchiezza smaga,
E ’l vogor rapportar che spira e pasce
In cui già morte con la falce impiaga,
E sì di sua ragion chiuder le strade
Che perpetua a i mortai faccia l’etade;
lxxxviii
     Et a lui, ch’era il re, dove s’adora
Non men che in altra parte Apollo e Giove,
Sacrate offerte ne faceano ognora
Le genti tutte, con mirabil prove.
Così volando alla medesim’ora
Il chiaro Galealto il passo muove
E dove era Boorte tosto giunge,
Il qual grave dolor più che mai punge.
lxxxix
     Come suol nell’april dolce la pioggia
Venir talvolta a i verdeggianti prati
Che fur, mentre che Apollo in alto poggia,
Nella stagion miglior troppo assetati;
Tal si feo lieto in disusata foggia
Il buon re Lago e gli altri ivi adunati
Intorno al cavalier, la cui gran doglia
Non gli fè mai cangiar parlare o voglia:
xc
     Se non che come ei vide Galealto
Con lietissimo viso a sè l’accolse,
Poi dice: Or fia contento il duro et alto
Cor che di sdegno il nostro fato avvolse
Al vostro Lancilotto, e ’l feo di smalto
Contra il dir nostro ch’ascoltar non volse,
Poi che molti impiagati con Arturo
Vede, e l’oste de’ suoi sì mal securo.
xci
     Or crescerà la gloria alle sue palme,
Che fatto è vincitor l’empio Clodasso,
E de i Britanni omai le più chiare alme
E de i Galli e de i Franchi ha viste in basso,
L’altro stuol carco di dogliose salme
Ch’ancor resta di qua dal mortal passo:
Il qual sempre dirà che Lancilotto
All’estrema miseria l’ha condotto.
xcii
     Seguiva ancor, ma l’Orcado, che sente
Che l’ira e ’l ragionar danno gli apporta,
Ruppe il parlar dicendo: Veramente
Alla vostra salute apre la porta
Fortuna omai, poi ch’alle forze spente
V’ha mandata dal ciel sì fida scorta
Come il re fortunato, il cui valore
Alle Parche allungò più volte l’ore.
xciii
     Altra vita miglior qui il tempo chiede
Che di tarde spiegar l’altrui querele.
E Galealto allor dal capo al piede
Il fa spogliar, che nulla parte cele;
Indi ogni piaga sua tentando vede
Non con men saggia man ch’a lui fedele:
Poi con sugo ch’avea d’intorno bagna,
Per cui subitamente il sangue stagna.
xciv
     Appresso feo di più d’una radice,
Senza chiamare alcun, minuta polve;
E posta in esse, ogni dolore elice
E ’l suo putrido umor secca e dissolve.
Poi con dolce parlar si volta e dice:
O famoso Boorte, or che v’assolve
D’ogni periglio il cielo, a quel ch’io sento,
Darò risposta al vostro pio lamento,