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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/160

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xcv
     Dicendo ch’a ragion si mosse a sdegno
Il chiaro Lancilotto, avendo scorto
Il superbo Gaven d’invidia pregno
Col favor del suo re contr’esso sorto:
Che ’n cor famoso e sovra ogni altro degno
Troppo si trova aver doglia e sconforto
Il fedelmente oprar, che mai non smaga,
Se d’ingrato volere altri l’appaga;
xcvi
     Nè si può quando vuolsi al duro morso
Con le forze richieste por la mano,
Come il destrier nel suo primiero corso
Il tosto raffrenar si prova in vano.
Crederò ben fra me ch’alto soccorso
Si può sperar dal figlio del re Bano,
Chè ’l vostro mal, la debita pietade
Avrà svegliata omai la sua bontade;
xcvii
     Et io, tornando a lui, s’ancor si trova,
Qual io non credo già, d’animo duro,
M’ingegnerò con mia preghiera nuova,
Con mostrargli de i nostri il tempo oscuro,
Ch’omai spoglie ogni sdegno, e l’arme muova
Al bisogno maggior del grande Arturo:
Ch’al magnanimo spirto non s’aspetta
Contra nemico tale altra vendetta.
xcviii
     E se ciò non potrò, tenterò poi
Che col suo buon volere io vegna al meno
Co’ miei guerrier, se pur mi nega i suoi,
A trarvi il mal che vi trovate in seno:
E faccia il ciel ciò che vorrà di noi,
Ch’a me basta partir di gloria pieno,
E per tòr tali amici d’aspra sorte
Assai dolce mi fia l’istessa morte:
xcix
     Perch’avvegna ora o poi, dal ciel m’è dato
Di por fine alla vita in questo lido,
Chè ritornar fra’ miei mi nega il fato,
Come concede al nome eterno grido.
Cotale al nascer mio l’alto Nifato
Predisse a i cittadin del patrio lido,
Che sovra quanti avea vati e profeti
Intendeva del ciel tutti i segreti.
c
     Allora il re dell’Orcadi l’abbraccia,
Poi con tenero amor la man gli prende
E dice: Io prego il ciel che largo faccia
Delle due cose sol quella che ’ntende
Al vostro onor, che d’Affrica ove agghiaccia
L’iperboreo cammin già il volo stende,
E più oltra anco andrà; ma il vostro fine
Il corso agguaglie alle virtù divine.
ci
     Ma fia certo di voi bell’opra e degna
Se ’l duro Lancilotto pregherete
Ch’a questo uopo più grave a’ suoi sovvegna
E d’Avarco espugnar gli nasca sete,
Perchè si dica poi che la sua insegna
Spaventata aggia sol l’onda di Lete
Che senza il suo apparir già vicin’era
Non men ch’oggi ne sia d’Orone e d’Era;
cii
     Nè stando in ozio sol voglia vedere
In periglio e ’mpiagata schiera tale.
Non può alla guerra Arturo provvedere,
Col piè ferito e con dolor mortale;
Non si può Maligante sostenere,
Percosso anch’esso di pungente strale;
Nè il misero Toscano ha miglior sorte
Ch’or possiate discernere in Boorte.
ciii
     Prendasi guardia pur che non si toglia
Il poterne aiutar lo ’ndugiar troppo,
Ch’un punto sol l’occasione spoglia
E ’l più veloce corso rende zoppo,
Nè ritorna poi indietro all’altrui voglia
Ma fugge innanzi più che di galoppo:
Sì che chi cura tien del miglior tempo
Comince il bene oprare ognor per tempo.
civ
     E voi, per quello amor che senza pare
A lui sempre portaste, et egli a voi,
Non gli lassate il cor tanto indurare
Che d’onta e di dolor s’uccida poi.
Mostrategli il sentier che dee pigliare
Per alzare il suo nome e salvar noi;
E so che ’l vostro dir gli fia più a grado
Che d’ogni altro il consiglio unico o rado:
cv
     Che nulla penetrar più adentro suole
In giovin core e di virtù seguace
Che d’amico fedel dolci parole
Che provengan d’amor puro e verace.
Or da voi sol, qual lo splendor dal sole,
Ne può sovra arrivar salute e pace,
Se vorrete, alto re, sì com’io spero,
Tutto il poter di voi spiegare intero.
cvi
     E se pur dentro a sè voto o promessa
Gli vietasser per noi l’arme vestire,
Fate ch’al men da lui vi sia concessa
La gente sua, che voi debba seguire,
Come diceste, e con la vostra istessa,
Che non men di valor mostra e d’ardire:
Ch’io son sicuro in me che giunte insieme
Faran tosto fuggir chi caccia e preme.
cvii
     Poi quantunque di voi l’invitta spada,
L’animo e la virtù sia chiara molto,
Fareste al nostro ben più larga strada
Se dell’arme di lui veniste avvolto:
Perchè ’l volgare stuol sovente bada,
Non men ch’all’opre, al conosciuto volto,
E voi sapete bene a che ridotto
Talor l’oste d’Avarco ha Lancilotto.
cviii
     Or se da voi verrà grazia cotale,
Sarà per voi rinato il re Britanno,
E renderavvi onor più che mortale
Come a ristorator d’ogni suo danno;
E la gloria di voi sarà immortale,
Nè i secoli maggior l’offenderanno.
Perchè ne fia memoria in tante carte
Che chi divora ogni uom non v’avrà parte.