Vai al contenuto

Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/164

Da Wikisource.

xxxiv
     Chè Safaro e Merangio e Morassalto,
Ch’avean quei di Granata e di Castiglia,
Ove han sentito il faticoso assalto
Quanto più ratti pòn giran la briglia:
Ond’ei, che non è porfiro nè smalto,
Di ritirarse indietro si consiglia
E dice al suo german: Chi morte certa
Senza pro cerca, e ’nvan, gran biasmo merta.
xxxv
     A migliore stagion servar la vita
Deve il forte guerrier che più non puote.
Colpa nostra non è s’hanno impedita
La giusta impresa le celesti rote,
Chè forse altro sostegno e nuova aita
Per non rendere alfin d’effetto vòte
Le nostre voglie pie serbano altrove,
Col supremo voler del sommo Giove.
xxxvi
     Così stretti fra lor con passo tardo
Si van traendo in più secura parte:
Quando in un punto, più leggier che pardo
Che di catene scarco si diparte
Poi ch’ha scoperto col bramoso sguardo
Damma che di scampare usasse ogni arte,
Ivi appar Lionel con molti arcieri
De’ suoi ch’ha più fedeli e de i più feri;
xxxvii
     Ch’al cominciar delle novelle risse,
Dubbioso in cor di quel che poscia avvenne,
Nestor ivi lassando e Blomberisse,
Per diverso cammin fra’ suoi pervenne,
E la schiera appellata che ’l seguisse
Al soccorso rattissimo rivenne:
Ove i fratei conforta in alte grida
E gli altri appresso alla battaglia sfida.
xxxviii
     Nè di più tardo indugio era mestiero,
Che ’l numero a’ nemici anco crescea,
Chè con Nabone il fello et Agrogero
Al soccorso de’ suoi quivi correa.
Ma Lionel, già sceso del destriero
Come erano i cugin, già in mano avea,
Entrato tra i compagni, il nobil’arco,
E vie più d’uno strale aveva scarco.
xxxix
     E ’l primo ch’ei trovò fu Perimone,
Che ’l buon re Caradosso tiene in braccio
E già nel porta, ma tosto il ripone,
Che gli dà in mezzo al ventre orrido impaccio
L’aspra saetta, e l’anima gli pone
In libertà dal rio terrestre laccio
Che pien di vizi e di lordure nacque
Là dove il Tago aurato insala l’acque.
xl
     Onetore il fratel poscia e Pistore
Tra l’arene distende a lui vicini,
Quel percosso alla gola e questo al core,
Con le gambe tremanti e i capi chini.
L’altra schiera ch’egli ha spiega il furore
Ove scorge il gran numero, e meschini
Fa di vita in un punto tanti insieme
Che chi vivo riman di morte teme,
xli
     E ’l combattuto premio ivi abbandona,
E si tiene a guadagno aver la vita.
Così non più conteso da persona
Han la vittoria in man larga e spedita,
E ’l buon Nestore allor dolce ragiona:
Poi che ’l ciel ne donò grazia compita
Di scacciare i nemici, non si lasse
L’opra indietro di far che qui ne trasse.
xlii
     E così detto, a lui chiama Abondano
Che già con gli altri tutti era risorto,
E dolce il prega con sembiante umano
Gli porga aita al sostener quel morto.
Indi ha raccolta l’una e l’altra mano
Ch’ebbe lungo l’onore e ’l viver corto,
La testa poi, ch’ancor nell’elmo spira
Maiestà regia et alta a chi la mira.
xliii
     Indi il tutto ripon dentro allo scudo,
Che ritolto a’ nemici avea Polete:
Nè fu tra loro alcun di pietà nudo
Sì che di lagrimar non aggia sete;
E perchè muova i cor l’essempio crudo
E svegli al vendicar le menti quete
No ’l volse ricoprire, e ’l fregio adorno
Fur le piaghe onorate e ’l sangue intorno.
xliv
     Portanlo molti al suo reale ostello,
In cui con lunga pompa è ricevuto.
Ma in questo tempo il forte Lionello,
Da poi ch’ha largo popolo abbattuto,
Chiamando indietro il vincitor drappello
Già con gli altri compagni era venuto
Ove il lor buon Tristano e Segurano
L’un dell’altro avanzar s’adopra in vano;
xlv
     Chè di tutto quel tempo, che fu molto,
Ch’a singular battaglia erano insieme
Nullo avea questo a quel di campo tolto
Nè di lor questo o quel più spera o teme.
Bene è d’essi ciascun di forza sciolto,
E stanchezza e sudor vie più gli preme
Che non fa del nemico il ferro ardito,
Ch’anch’ei si truova omai lasso o ’mpedito.
xlvi
     Ma nel primo arrivar di questa schiera
L’uno e l’altro di loro il piè ritira,
Chè nessun d’essi immagina quel ch’era,
In fin che più vicin non la rimira.
Allor del pio Tristan la mente altera
Quasi ver Lionel si mosse ad ira,
Dicendo: Or perchè m’è da voi contesa
Nel mio maggior desio sì bella impresa?
xlvii
     Risponde il buon guerrier: Caro signore,
Non son venuto a voi per oprar questo,
Anzi port’io nel cor sommo dolore,
S’al vostro disegnar venni molesto.
Ma ben direi che si spendesser l’ore
In altro affare, e si provveggia al resto
Che lontan senza voi periglio porta,
Sendo privato omai d’ogni altra scorta.