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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/177

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     Ma l’animoso Eretto, che ’l romore
Ha di lontano udito e ’l gran periglio,
Tra le schiere ch’egli ha di più valore,
Con lo stendardo suo d’oro e vermiglio
Ratto al soccorso vien, con quello amore,
Che la madre pietosa al dolce figlio,
E solo il suo gridare e l’alta polve
Il Britanno timore a i cor dissolve.
xcvi
     E con tanto furor percuote in fronte
L’aspra nemica schiera che venia,
Che non sol rintuzzò le voglie pronte,
Ma d’indietro tornarse apre la via;
L’un sopra l’altro fea confuso monte,
E mal grado de’ duci indietro gìa;
Ch’ove sia il suo Brunoro o Palamede
Nessun più cerca o più l’ascolta e vede.
xcvii
     Qual Sisifo infelice che ’l fatale
Sasso gravoso all’erto monte spinge,
Ch’ove più faticando in alto sale,
Il suo destin più al fondo il risospinge;
E mentre ira, pietade e duol l’assale,
Altra nuova speranza il cor gli cinge;
Onde al suo vano oprar ritorno face,
Senza aver notte o dì riposo o pace.
xcviii
     Tale a’ duci avvenia, poi che rivolto
Il popol che salia si getta in basso,
Che a gli avversari pur mostrando il volto,
E sforzati da’ suoi, volgono il passo;
Ma il malvagio e ’l migliore in un ravvolto
Rovina alfin, come quel proprio sasso,
O quel che rota il rustico architetto,
Per far fido sostegno al patrio tetto.
xcix
     E ’nvan s’adopra l’Ebrido e Brunoro,
Margondo e Gracedono e Dinadano,
Ch’a viva forza alfin scendon con loro,
E ’l supremo sperar ritorna vano;
Ma mentre in guisa tale opran costoro,
Vien volando Mandrino al pio Tristano,
E gli dice affannato: Senza voi
È in periglio mortal Gaveno e i suoi.
c
     Però che a quella torre, che s’agguaglia
A questa, all’altra man verso l’Orone,
Gli ha mosso Palamoro aspra battaglia,
Ma di poco curarlo avea cagione;
Or che ’l gran Seguran teme l’assaglia,
E già in ordine i suoi d’intorno pone,
Vi prega per l’onor che ’n cor portate,
Ch’al soccorso di lui ratto vegniate.
ci
     No ’l nega il fido Armorico; e poi ch’ebbe
Veduto in sicurtà quel loco omai,
Promettendo a ciascun, ch’ivi sarebbe,
Se ’l bisogno venia, veloce assai,
Con quello amor, che ’n cavalier si debbe,
Si volge a trar di sanguinosi guai
Il re d’Orcania e gran desire il muove
Di far con Seguran novelle pruove.
cii
     Giunge tosto a quel loco e di già scorge
Con le scale imbracciate il fero Iberno,
E già le stringe al muro e in alto sorge,
Tutti gli altri e Gaven prendendo a scherno;
Già per mettersi in cima il passo porge,
E già tutto ha varcato il muro interno;
Già Calarto, Esclaborre e ’l Fortunato
Seguendo il suo sentier gli sono a lato.
ciii
     Non ritarda Tristan, ch’ha l’alma intenta,
Ove vede arrivar l’aspro drappello,
E con l’asta ferrata s’argomenta
Di rispinger veloce or questo or quello;
Fu il primiero Esclabor, che ’n basso avventa,
E ’l fa cader, quale invescato augello
Dall’insidiose frondi, ove al mattino
Allettato al suo mal torse il cammino.
civ
     Gettò Calarto e ’l Fortunato appresso,
Che nel suo rovinar le forti scale
Salde tenea con man sì che sovr’esso
Al percuoter dannoso arroge il male;
Che ’nsieme andaro; e ’l popol che gli è presso,
Sente non men di lui colpo mortale,
Perch’a quanti guerrier si trova sotto
Ha troncate le gambe o ’l capo rotto.
cv
     Resta sol Seguran ch’ha innanzi il passo,
E dal muro acquistato è sì lontano,
Ch’esser non puote omai riposto in basso
D’un colpo solo e si ripara al piano,
E benchè tutto sol, di vita casso
Esser prima dispon, che avere invano
Calcato il vallo omai più d’una volta,
E poi la possession gliene sia tolta.
cvi
     Nè solo il buon Tristano invita a guerra,
Ma quanti altri vi son, con tai parole:
Il superbo leon, quando si serra
Nella mandra d’agnelli, uscir non suole,
In fin ch’ad uno ad un non ponga in terra
Di sangue scarca la invilita prole;
Ned io partirò quinci, ch’io non abbia
Tinta di voi la mal tessuta gabbia.
cvii
     Così detto il crudel, vede Trocone,
Che non lunge a Tristan ver lui veniva,
E squarciato il cervello a terra il pone,
Oresbio presso a quel di vita priva;
Ma il gran re dell’Armorico leone,
Poi ch’ha gli altri scacciati, in tempo arriva;
Chè se tardava ancor, degli altri molti
Avria, come quei due, di vita sciolti.
cviii
     Ma qual lupo affamato, ch’alla greggia,
Che sola ritrovò, gran danno apporta,
Che raffrena il furor, da poi che veggia
Del feroce Mastin la fida scorta;
Tale il gran Seguran non più vaneggia
Contra i minor, nè fra la gente morta,
Come cede tristan; ma si raccoglie,
E ’n più saldi pensieri arma le voglie.