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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/178

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cix
     E va incontra veloce e pien d’ardire,
Nè l’altro teme, anzi sol esso brama;
Ma quando più vicin sono al ferire,
Vien la schiera maggior che Gaven chiama;
Chè poi ch’ha visto del suo vallo uscire
Ogni altro cavalier di maggior fama,
Vien contro a Segurano e spinge in guisa,
Che la guerra primiera hanno divisa.
cx
     Chè non può il fero Iberno al grave intoppo
Della gente che vien, fermare il piede;
Ma col voler gagliardo e ’l poter zoppo
Di passo in passo sospirando cede;
Talor si sprona innanzi e poi che ’l troppo
Lo sforza intorno alla sua strada riede,
Fin ch’all’estrema parte della torre
Senza offesa sentir può il passo porre.
cxi
     Poi calcando col piè la parte estrema,
Quasi il vol prese a guisa di colombo,
Ove l’argin di fuore il fosso prema,
Che periglioso avea lassarse a piombo;
Tra i suoi s’accoglie e con dolore e tema
Di chi d’esso vicino udìo il rimbombo;
Qual peregrin nocchier ch’oda il flagello
Delle pietre affocate in Mongibello.
cxii
     Nè più che in questi lochi, in altra parte,
Ne’ due fianchi del campo e nelle spalle
Ha tregua o pace il sanguinoso Marte,
Ma del medesmo suono empie la valle;
Ch’Ilba il fero Ostrogoto ha in giro sparte
Le genti sue, dove difende il calle
Il chiaro Bandegamo ed Agraveno,
Verso ove ha il mezzo dì tiepido il seno.
cxiii
     Ma poco puote oprar, che la virtude
De i chiari difensor trovò più dura,
Che ’l fabbro sicilian l’antica incude,
In cui l’arme del ciel forma e procura;
E Rossan ver Boote, ove si chiude
Fra lo stuol suo nelle terrestri mura
Con Pelinor, Lucano ed Egrevallo,
D’ivi entro penetrar tentato ha in fallo.
cxiv
     Nè Gunebaldo al loco, ove si pone
Il sol, che del re Franco aveva i figli,
Con men furore il sacro gonfalone
D’abbatter cerca degli aurati gigli;
Che l’odio antico se li aggiunge sprone
Al dispietato cor di far vermigli
Del regio sangue i campi, ma il valore
De’ quattro giovinetti è via maggiore.
cxv
     Che quinci e quindi son fra lor partiti,
Come il vecchio Sicambro ordine diede,
E sì ben guarda ogni uomo i proprii liti,
Ch’appressar non gli può nemico piede;
Molti uccisi ne son, molti feriti,
Che richiaman lontan la patria sede,
De’ Borgondi miglior; chè Childeberto
Trapassato ha nel cor l’empio Alaberto:
cxvi
     Il qual di Gunebaldo la figliuola,
Amatilde appellata, sposa avea;
Clotaro a Mirion la vita invola,
Ch’all’antico Vesonzio il fren reggea;
Clodamiro Larceo, che regna in Dola,
Sospinse di sua mano a morte rea;
Teodorico il quarto uccise Aldero,
Che del suo Matiscon tenea l’impero.
cxvii
     Nè pur di questi sol, ma d’altri molti
Di sangue popolar posero a terra;
Ma delle cose omai nasconde i volti
L’oscura umida notte e ’l giorno serra;
Già i gran duci d’Avarco al tutto sciolti
Son d’ogni speme d’allungar la guerra;
E già di ritirarse ordine danno,
Ove possan curar l’avuto affanno.
cxviii
     Ma il fero Segurano irato ed empio,
Pria che d’indi partir, gridando chiama:
Fate inerti Britanni un sacro tempio
Alla notte immortal che troppo v’ama,
E la seconda volta d’alto scempio
Ha scampata di voi l’alma e la fama,
Se la fama scampar di quel si crede,
Che ’ntra gli argini e i fossi asconde il piede.
cxix
     Così detto sen va con gli altri insieme;
Che d’aver tutto in man speran l’alloro,
Tosto che d’oriente i liti preme
Di Latona il figliuol co i raggi d’oro;
Dall’altra parte si sospira e geme
Tra quei d’Arturo, chè i miglior di loro
Veggion tutti impediti e di quei bassi
I più morti o feriti e gli altri lassi.
cxx
     Muovesi il buon Tristan molto a pietade,
E l’Orcado famoso e gli altri regi;
E che curati sien cercan le strade,
Promettendo a ciscuno onori e pregi:
Ma più che in altro, in Galealto cade,
Che fu il fior sol de i cavalieri egregi,
La doglia del lor mal, che si conviene
A madre, che ’l figliuol ritrove in pene.
cxxi
     E quanto tosto può, per via spedita
Piangendo trova il figlio del re Bano,
E gli dice: Signor, se mai gradita
Fu da voi l’alma amica, non sia vano
Il mio pregar, sì che si doni aita
Al re Britanno almen per la mia mano,
Se ’l cielo al vostro core ancor non spira,
Che debbiate posar lo sdegno e l’ira.
cxxii
     Non v’accorgete voi, che più non puote
Senza soccorso altrui reggere il pondo
L’afflitto stuol, cui le celesti ruote
Di miserie hanno spinto al sezzo fondo?
E sì tosto che ’l sol domane scuote
Il tenebroso vel dal fosco mondo,
Or che gli argini e i valli son per terra,
Sarà morto o prigion subito in guerra.