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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/185

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lxvii
     Così detto, il destrier bramoso sprona,
E la lancia, ch’avea, si reca a resta;
Ma nel candido scudo in basso dona
Il colpo, che drizzava alto alla testa;
Il colle intorno e la campagna suona,
E veniva al nemico anco molesta,
Se il legno era più duro; ma fu tale,
Che ’n mille brevi tronchi in aria sale.
lxviii
     Così non gli giovò l’aver vantaggio,
Che contra il brando sol mosse la lancia;
Nè al chiaro Galealto oscurò raggio
Dell’ardito valor, ma il prende in ciancia,
Dicendo: A voi medesmo fate oltraggio,
E ne devreste aver rossa la guancia,
Non a me, cui mill’aste insieme accolte
Di mille pari a voi non sarien molte.
lxix
     E ’n tai detti ritruova, che ritorna
Già indietro col destriero a nuova guerra;
Ivi l’ira e ’l furore alza le corna,
E ’l desio dell’onor gli stringe e serra;
Fu il primo Galealto, che l’adorna
Chioma del pino aurato abbatte in terra,
Che sovra il bel cimier Clodino avea,
Perch’al regno paterno succedea.
lxx
     Nè rimase ivi il colpo; che discende,
E con più grave suon l’elmo percuote,
No ’l rompe già, ma sì il nemico offende,
Che gli sembra veder fulgenti ruote;
Non s’arresta perciò, ma il brando stende
Inverso Galealto e quanto puote
Gli spinge alla visiera una tal punta,
Che con morte di lui veniva aggiunta;
lxxi
     Se non fora incantato il fino acciaro,
E che doppio venia dove ella colse;
Pur’ il sentirne in sè dolore amaro
Per la fera percossa non gli tolse;
Ma qual torbo Aquilon, che di gennaro
Tutto il superbo fiato in sen raccolse,
Per affondar quel legno, che varcare
Vuol, mal grado di lui, d’Icaro il mare;
lxxii
     Stringe ogni forza insieme Galealto,
E ’nverso il cavalier ratto s’avventa;
E senza mai posar, mortale assalto
Gli dà col brando e quinci e quindi il tenta,
Tanto ch’al quarto colpo, che vien d’alto,
Pur su la fronte, ov’ha la voglia intenta,
In tal modo il percuote, che conviene,
Ch’e’ caggia al fin sovra le trite arene;
lxxiii
     Non già morto o ferito; ch’assai duro
Fu l’elmo a sostener la cruda forza;
Ma la vista ha ravvolta un velo oscuro,
Che gli spirti vitali alquanto ammorza;
Rovina appar d’un mal fondato muro
Lungo il fiume talor, che l’onda sforza
Sormontando all’autunno e della valle
Rimbomba al suo cader l’erboso calle:
lxxiv
     Giunse tardo al soccorso il pio Margondo,
Che menò quei del lito Provenzale,
Ove al Rodan più largo e più profondo
Mischia Nettunno in sen lamaro sale;
E pensando in fra sè, che ad altro mondo
Sia passato Clodin, pietà l’assale,
E come fido amico a Galealto
Muove intorno co’ suoi novello assalto.
lxxv
     Ma ’l magnanimo re tra lor si stringe,
Come il fero leon tra i vili armenti;
E con nuovo rossor la valle pinge
Del largo sangue delle uccise genti;
Poscia al fero Margondo, che s’accinge
In guerra contro a lui, non altrimenti
Gli cacciò per le tempie il brando fero;
Ch’al cervo che giacea, saetta arciero.
lxxvi
     Cadde egli ancor e quel della Vallea,
Che Gracedono il forte nominaro,
Che nel medesmo loco impero avea,
Ove in ver l’oriente irriga il Varo
Cercando vendicar la sorte rea
De’ compagni e signori, il fine amaro
Di se stesso trovò; ch’al primo intoppo
Frale al disegno si conobbe e zoppo.
lxxvii
     Perchè mentre al ferirlo s’apparecchia,
Il magnanimo re già in capo il fere,
E ’l colpo rio fra l’una e l’altra orecchia
Fino a i denti partito il fa cadere;
L’altro stuol più che mai l’usanza vecchia
Riprende del fuggir; nè sostenere
Il può fren di guerriero o d’altro duce,
Infin che sotto Avarco si conduce:
lxxviii
     E l’un l’altro impedisce e serra il passo,
Come quando all’agosto il ciel riversa
Sì larghe piogge, che correndo in basso
L’un torrente con l’altro s’attraversa;
Ch’ogni campagna, ogni arbore, ogni sasso,
Ogni opera mortal giace sommersa;
E di sì gravi arene hanno il mar carco,
Che non pon ritrovar l’usato varco:
lxxix
     E ’l forte Galealto ancora il segue,
E già tocca con lor le regie mura,
Alle quai non vuol dar paci, nè tregue,
Ma d’espugnarle il dì prenderia cura;
Ch’a lui non par, ch’al suo valor s’adegue
Cosa mortal, nè si ritruove dura
Impresa contr’a lui; nè ’l crede invano,
Se ’l nemico fatal gli era lontano.
lxxx
     Ma il crudo Seguran tosto che intende
Di tanti e tai guerrier la morte acerba,
E che quasi Clodin l’anima rende
Riversato e negletto sovra l’erba;
Il corso, ove ciò avvien, veloce stende,
E ’n vista minacciosa, aspra e superba
A quanti incontra dice: Ogni uom mi mostri
Ov’è ’l bianco guerrier ch’uccise i nostri.