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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/187

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xcv
     Onde alla destra parte alquanto inchina;
Poi la grossa armadura e l’elmo grave
Più ch’a lui non convien, d’aspra ruina
Gli fur cagion, che doppiamente aggrave,
E così lentamente s’avvicina
Sopra il duro sabbion; qual tronco o trave,
Cui mancando il sostegno a poco a poco
Va sforzata dal pondo in basso loco.
xcvi
     Ma non prima il buon re segnò la terra
Con la fronte e con l’omer, che risorse,
E ’mbracciato lo scudo a nuova guerra
Contra il nemico suo veloce corse;
Il qual del suo caval tosto s’atterra,
E d’Osco il suo scudiro in mano il porse,
Dicendo: Io non ricerco altro vantaggio,
Che quel che di valore e d’ardir aggio.
xcvii
     E quale aspro leon, ch’aggia impiagato
Possente tauro di mortal percossa,
Che ritirando il piè sia riversato
Nel più profondo sen d’ascosa fossa;
Che d’un salto leggier l’ha seguitato,
E di condurlo a fin mette ogni possa,
Pria che la sua sventura intorno udita,
Di pastori o di can gli giunga aita.
xcviii
     Tal l’Iberno crudel leve l’assale,
E l’animoso re non ferma il piede;
Ma il percuoter l’un l’altro a nulla vale,
Chè ’l ferro onde son cinti in van si fiede;
Ma il fero Seguran, ch’omai mortale
La battaglia in tal modo esser non vede,
Senza il brando e lo scudo oltra si caccia,
E ’l famoso avvarsario intorno abbraccia.
xcix
     Fa il medesmo il gran re, ch’anco lui stringe,
E di por sotto altrui ciascuno adopra;
Or l’un l’altro solleva, or si sospinge,
Or la forza, ch’egli ave, or l’arte è in opra;
Ma con fierezza tal l’Iberno il cinge,
Che ’l distende per terra e riman sopra;
Poi con tutto il poter sotto il mantiene,
E ’l pugnal nella destra stretto tiene.
c
     Col quale in ogni parte il va tentando,
S’ei ritrovasse in esso aperta via,
Onde il potesse por di vita in bando,
E vendicar de’ suoi la sorte ria;
Nè Galealto ancor s’arresta, quando,
E la vita e l’onor servar desia;
Quanci e quindi movendo con la spada
Cerca anch’egli al ferir novella strada.
ci
     Ma perch’era assai lunga e che si truova
Ben gravato da lui, può nuocer poco;
L’altro che vede pur che nulla giova,
E ch’all’arme squarciar la forza è gioco,
D’impiagarlo alla fin si mette in prova,
Ove senza difesa appare il loco,
Delle coscie il di dentro a cui l’arcione
Stando sopra il destrier la guardia pone.
cii
     Lì del forte pugnal che non s’arresta,
Con la sua destra man di sotto il punge,
Con la sinistra poi l’armata testa,
Che non possa levarse al terren giunge;
Alla terza ferita agra e funesta
Dall’infelice vel l’alma disgiunge;
Tagliando i nervi con mortale affanno,
Che i moti al nostro andar diversi danno.
ciii
     Così traendo i piè, torcendo il volto,
Il ferreo sonno e sempiterno oppresse
Il miser Galealto, lunge molto
Dal lito in cui nascendo l’orma impresse;
L’altero vincitor, poi che disciolto
Dal mondo il vide, con le man sue stesse
Trionfatrici omai dell’altrui doglia,
Per ornarne il trofeo, l’arme gli spoglia.
civ
     Con desio di veder chi costui fosse,
Il lucid’elmo pria gli toe di fronte;
Ma il crudo core a gran pietà si mosse,
Come il conobbe alle fattezze conte;
Chè in molte parti seco ritrovosse
Con le voglie al suo bene amiche e pronte,
Allor che dal felice suo paese
Con mille navi o più Brettagna offese.
cv
     Duolsi della sua sorte e ben vorria
Il suo fido compagno in vece avere;
Pur gli dispoglia il resto e tutto invia,
Ove il possa Clodasso e i suoi vedere;
Il corpo nudo poi mandar desia
Non men che l’altro appresso per potere
Dargli sepolcro ornato a gran memoria
D’altrui lorda vergogna e di sua gloria.
cvi
     Ma in questa ecco venire il pio Tristano,
Che avea veduto il candido corsiero,
Che senza il cavalier, traverso al piano
Dell’albergo cercando iva il sentiero;
E poi ch’a ritenerlo adoprò invano,
Il lassa andare al suo signor primiero,
Et esso, onde venia, rivolge il corso,
Per dargli, se potea, ratto soccorso.
cvii
     E trova il miserel che tutto nudo
Già in man de’ suoi guerrier l’Iberno il pone,
Che ’l portino, ove l’arme e ’l bianco scudo
Han condotto in Avarco altre persone;
Et ei cinto di sangue, altero e crudo
Era già rimontato su l’arcione,
Pensando, come avvenne, ch’altra gente
Devesse ivi arrivare immantenente.
cviii
     Tosto che ’l caso acerbo e dispietato
Di Tristano alla vista s’appresenta,
Di doglia e di furor tutto infiammato
Inverso chi ’l tenea ratto s’avventa;
Quel morto, quel ferito ha riversato
Dell’aspra turba all’empia cura intenta;
Et a cui con la spada non fa guerra
Col voltar del caval distende a terra.