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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/204

Da Wikisource.

lxxxi
     Nè per empier del rio le placide onde
Quella squadra nemica, ch’è infinita,
Può il famoso guerrier lungo le sponde
Trovare al suo desir la via spedita;
Tal che l’ira maggior, che Marte infonde,
A mischiarse con lei ratto l’invita;
E con sì gran romor s’avventa ivi entro,
Ch’ei fè, credo, tremar Pluton nel centro.
lxxxii
     Fersi l’acque spumose e in aria alzarse
Al profondo saltar del gran destriero,
E la chiarezza lor vider cangiarse
In aspetto per lui sanguigno e fero;
Sta sotto alquanto e poi di sopra apparse,
Come mostro marin pronto e leggiero;
E dove scorga più le calche strette,
Col sanguinoso brando ivi si mette.
lxxxiii
     Nè per leve fuggir, che ’l popol faccia,
Al disegnato fin secur riesce,
Ch’ei senza abbandonar l’umida traccia,
Or con questi or con quei ratto si mesce,
Qual rapace dalfin, che segua in caccia
Doppo il lungo digiuno il minor pesce,
Ch’or rifugge nel porto, or sotto il sasso
Dello scoglio vicin più stretto e basso.
lxxxiv
     Tal rifuggendo quei, su l’altra riva
Cercan levi posar l’afflitto piede;
Ma il feroce guerrier prima gli arriva,
Ch’e’ sien montati alla più asciutta sede;
E numero cotal di vita priva,
Che con grave dolor, lasso, si vede
Già l’Euro miserello avere il seno
Vie più di sangue assai, che d’onde pieno:
lxxxv
     E di tant’arme colmo e di tant’aste,
Di tanti elmi, di scudi e di destrieri,
Che la forza impedita omai non baste
Per distender più il corso a’ suoi sentieri;
Le vaghe ninfe sue nitide e caste
Lamentando fuggir gli assalti feri;
Et ei per non veder, l’erbosa fronte
Ascosa avea sotto al Cemenio monte.
lxxxvi
     Poi ch’ha sfogato alquanto Lancilotto
Contra il popol laggiù l’avuto sdegno,
Sopra l’asciutta terra ricondotto
In ritrovar l’Iberno opra l’ingegno;
E dove è men lo stuol fugato e rotto,
Scorge un gran cavalier, che mostra segno
Di nobiltade insieme e d’alte prove,
E che ’nverso di lui correndo muove.
lxxxvii
     Fecesi lieto in core e seco spera,
Ch’esser potesse il chiesto Segurano;
Poi che gli vide in man l’insegna altera
Del leon brun, conosce Dinadano,
E gli dice: Signor, per quella vera
Virtù dovuta a gran guerriero umano,
Non mi negate il dire, ove or dimora
Il vostro Seguran, ch’ogni uomo onora.
lxxxviii
     Risponde il cavaliero in vista acerba:
Io non son qui, signor, per cura avere
Qual loco Seguran ne rende o serba,
Ma per alte spiegar le mie bandiere,
E per largo punirte, alma superba,
D’aver percosse le germane schiere,
Qual lupo al bosco le smarrite gregge
Senza il cane o ’l pastor, che le corregge.
lxxxix
     Chè mentre in altra parte io stava inteso
A drizzar di Clodino il destro corno,
Udì lontano il nostro stuolo offeso
Da stran nuovo guerrier di bianco adorno;
E ’l cammin verso lui volando ho preso,
Per vendicar de’ miei l’avuto scorno;
E questo è il Seguran, ch’ite cercando,
Il qual vi mostrerrò con questo brando.
xc
     Risponde Lancilotto: Io non rifiuto
A chi mi invita mai nuova battaglia;
Ma ben di Segurano avrei voluto
Più tosto che di voi, tentar la maglia;
Chè da voi nullo oltraggio ho ricevuto,
Ma da lui tal, che nullo gli s’agguaglia;
Or s’ei vi piace pur, facciasi presto,
Chè ’l soverchio indugiar saria molesto.
xci
     Così detto alza il brando e dallo scudo
L’oscuro suo leon per terra getta,
E ’l forte Dinadan di quello ignudo
Pensa di tosto far larga vendetta,
E di colpo qual può più acerbo e crudo
Nel lucid’elmo il fere, che saetta
Faville tante, che d’ardente foco
Fece intorno avvampare il vicin loco.
xcii
     Ma bisogna altro colpo, che mortale,
O che di Dinadan la forza passe,
Per fare a Lancilotto sì gran male,
Che pur la fronte alquanto se n’abbasse;
La spada indietro rimontando sale,
Quasi che ’l duro porfiro toccasse;
Ma il figliuol del re Bano il ripercuote,
Ove di scudo avea le spalle vòte.
xciii
     E ’l trova a punto in quel medesmo nodo,
Ove il braccio era all’omero commesso;
E ’l getta in terra in quello istesso modo,
Che suol ramo di faggio o di cipresso
Il pastor, che vuol far selvaggio chiodo
Per la mandra dubbiosa, che sia presso
Del bosco folto o delle alpestri rupi,
Ove insidie maggior tendano i lupi.
xciv
     Tale il sinistro braccio si disciolse
Dal famoso guerriero e ’n basso cade,
E tra le arene misero s’avvolse,
E del sangue che versa empieo le strade;
Raddoppia il colpo Lancilotto e ’l colse
In loco onde convien che a morte vade,
Ove appunto la testa al collo assiede,
E del suo gran destrier la pose al piede: