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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/209

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xxiii
     E ’n questa alto la fronte gli percuote,
Ove prima esso lui nel proprio loco,
E gli fece tremare ambe le gote,
E gli occhi empieo di sfavillante foco;
Fur le parti miglior di forza vòte,
E che i sensi smarrisser mancò poco;
Pur dell’elmo il valore, e ’l core invitto
Il piegante vigor sostenne dritto.
xxiv
     E più saldo che mai, di punta il fiede,
Dove scudo non ha, dal destro lato,
Dicendo: Discortese Palamede
In alcuno atto suo non fu trovato,
Nè ascosamente a voi percossa diede,
Poi che vi ritrovò su ’l campo armato,
Ove adoprar convien la mano e ’l brando,
Non andare altre fole raccontando.
xxv
     Tacesi Lancilotto e l’ira asconde,
Che ’l parlare e ’l ferir gli ha doppia acceso;
Che quanto fosse unquanco stato altronde,
Si sentì il destro lato essere offeso;
Ma qual leva Nettuno in alto l’onde,
Che nell’aperto Egeo rabbioso peso
Del soffiar d’aquilon nel verno sente,
Tal di sdegno al guerrier bollia la mente.
xxvi
     E presta al vendicar cala la spada,
Che gli venne a ferir sopra lo scudo;
Di cui convien, che alcuna parte vada
Volando a terra e di sè il lasse ignudo;
E passando per quel si face strada
Nell’omer ch’ei copriva e ’l ferro crudo
Squarcia l’altre arme appresso e tanto scende,
Che i nervi ch’ivi son non poco offende.
xxvii
     Nè smarrito è però l’Ebrido altero,
Che con più grande ardir ritorna a guerra;
Ma il possente Nifonte al suo corsiero
La destra orecchia con la bocca afferra,
E crollando la fronte iniquo e fero,
Come rabbioso can, l’affligge e serra,
E gli dà tal dolor e ’l tien sì basso,
Ch’ei non s’arrischia sol muovere il passo.
xxviii
     Disposto pure in sè da lui disciorse
In qual guisa men rea discerner puote,
Cotale adopra al fin che si dismorse,
Ma senza orecchia avere indi si scuote,
E levatosi in alto, tanto scorse
Tirato dal furor, che poi percuote
Riversandosi indietro su l’arena,
Con grave del signor periglio e pena.
xxix
     S’aggiunge or nuovo alla primiera piaga
Colpo da non sprezzar sopra la testa;
Nè per questo anco il suo valor si smaga,
Nè pensa al dolor doppio che il molesta;
Ma più che fosse mai tutto s’indraga,
E si rivolge in quella parte e ’n questa
Tal, che come il buon animo e ’l ciel volse,
Dal caduto caval tosto si sciolse.
xxx
     Or già del suo destrier disceso è in terra
Il chiaro Lancilotto e ’n pace attende,
Mentre che dal gran fascio, che l’atterra,
Si discarca il nemico e ’n dubbio pende;
Ma intanto Brunadasso della guerra
Dal compagno intermessa il carco prende;
E ben ch’a piede il Franco si ritrove,
Il corsiero spronando in esso muove.
xxxi
     No ’l teme il gran guerrier, ma fermo aspetta,
In fin che sopra lui se ’l vede accorso;
Nel destro lato poi leve si getta,
E con la manca man gli prende il morso;
Nè gli giova il volar, come saetta,
Che mal grado di lui finisce il corso;
E volto è in tal furor, poi ch’e’ s’arresta,
Ch’ove le groppe avea torna la testa.
xxxii
     Indi con l’altra mano il buon guerriero,
Riposto il brando pria, di Brunadasso
Stringe il braccio sinistro e del destriero
Senza rimedio avere il tira in basso;
E sopra l’arenoso aspro sentiero
Là, dove ei giacque abbandonato e lasso,
Ritratta fuor la spada al collo il fere,
A cui lontano il capo feo cadere.
xxxiii
     Già il fero Palamede in piè risorto
Parte del breve assalto avea veduto,
Ma come cavalier cortese e accorto
Non sostenne al bisogno dargli aiuto;
Chè più tosto il compagno così morto
Volse, che l’onor suo veder perduto,
Sendo due contro ad uno, oltra ch’egli ave
Di tal guerra con lui disdegno grave.
xxxiv
     E con detti umilissimi si scusa,
Dicendo: L’altrui colpa in me non vegna,
Nel cui buon cor nulla viltade è chiusa,
E la cui man non fè mai cosa indegna;
Se nel suo stran paese questo s’usa,
Sia del fallir la penitenza degna;
Chè chi assale il nemico in simil sorte
Non merta punizion minor che morte.
xxxv
     Lancilotto cortese gli rispose:
Non può il fallir di lui macchiare in parte
Del vostro alto valor l’opre famose,
Al quale in tal favore aspira Marte.
Qui finito il parlar, ciascun ripose
All’assalto novel la forza e l’arte;
Ciscun dal collo già lo scudo ha tolto,
E ’l suo braccio sinistro in esso accolto;
xxxvi
     E s’acconcia al ferire; e fu il primiero
L’Ebrido, che di punta in mezzo il petto
Drizza all’alto avversario un colpo fero,
Che se ’l ferro finissimo e perfetto
Cui di tempra immortal gli spirti fero,
Era men saldo allora; alto sospetto
Aver potea ciascun di Lancilotto,
Ch’all’estremo suo dì fosse condotto.