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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/211

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li
     Nè molto pria Brunoro e Dinadano
Con molti altri famosi cavalieri,
Che contro al suo poter corsero in vano,
Bagnar di sangue gli aridi sentieri;
Tal che sol resta il nobil Segurano,
Ch’omai non so quel che si faccia o speri,
E voi sommo signor, dal quale aspetta
Salute il vivo e chi morì vendetta.
lii
     Nè vi convien tardar; chè lo spietato
Della fugace turba tanti atterra,
Che n’è colma la valle in ogni lato
Sì che ’l volto è nascoso della terra;
E chi puote scampare, infin ch’entrato
Non sia nel cerchio, che la villa serra,
Securo non si tiene; onde là entro
Pianto è maggior, che nel tartareo centro.
liii
     Ascoltandolo attento il giovinetto,
Ch’oltra il poter’ umano ode novelle,
Timor, duolo e pietà gli ingombra il petto,
E si lagna nel cor dell’aspre stelle;
Pur per non dare a’ suoi certo sospetto,
Che le voglie d’ardire aggia rubelle,
Con voce alta risponde: Non si puote
Contrario andare alle celesti ròte.
liv
     A cui poi che ciò piace, a noi conviene
Del lor volere a sofferenza armarse,
E nel presente aver l’alme ripiene
D’alto e chiaro desio di vendicarse,
E rivestire il sen di certa spene,
Ch’oggi non sien le nostre forze scarse
Più che fossero ier nè che d’un solo
Men vaglia un tanto e sì onorato stuolo.
lv
     Or moviam lieti adunque a ritrovare
Quel, cui più che virtù, fortuna aita.
E così detto; subito chiamare
Fa, ch’a lui vegna, dal famoso Ortrita
Agrogero crudel; quel, che dal mare
Di Nerbona ha la gente intorno unita;
Al qual giunto gli dice: Or di voi sia,
Mentre io sarò lontan, la vece mia.
lvi
     Ch’a me forza è di gire, ove gran danno
Il crudo Lancilotto a i nostri face,
Con securo sperar, che il breve affanno
Tosto rivolgeremo in lunga pace.
L’altro, ch’è de’ primier, che molti fanno
Per pruova e per etade, allor non tace,
E gli dice: Signor, lodo ogni impresa,
Pur ch’al pubblico ben vegna in difesa;
lvii
     Ma come al mio gran re sommo e sovrano
Vi dirò ancor, ch’egual l’esperienza
Non avete al gran figlio del re Bano,
Nè di forza alla sua pare eccellenza;
Chè quel, che nulla cosa adopra in vano,
Giusto comparte alla mortal semenza
Le virtù rare e mai per nulla etate
Furo in un petto sol tutte adunate.
lviii
     A voi dieder le stelle oro e terreno,
E ’n dorati capei canuto senno,
E gran forza e valor, ma certo meno,
Ch’a Lancilotto e Seguran non denno;
Or ciascun con la grazia, ond’egli è pieno,
Segua il cammin, che gli mostrò col cenno
Il cielo al suo venir; non quel ch’altrui
Apertissimo è dato e chiuso a lui.
lix
     Pria ch’ora esporvi alla dubbiosa impresa,
Se vi cal del fidato mio consiglio,
Devreste presso aver salda difesa
Di Segurano in sì mortal periglio,,
Che sia possente scudo all’aspra offesa,
Che far vi possa del re Bano il figlio;
Che ’l valor di due tali aggiunto insieme
Può il furore affrenar, che tutti preme.
lx
     Gli risponde Clodin: Grazie vi rendo
De i buon saggi ricordi e dell’amore,
Ch’esser di me per lunga prova intendo
Ora e molti anni pria nel vostro core,
E tutto in grado dolcemente prendo
Il vostro ragionar, quantunque fore
Del dritto sia, poi che ’n sì larga sorte
Lancilotto di me stima più forte.
lxi
     E vi prometto qui, che tutto solo
Lui, dovunque io ’l ritrovi, assalir voglio,
In mezzo ancor del suo Francesco stuolo,
E qual nave, che carca orrido scoglio
Trove, dall’aquilon sospinta a volo,
Tosto il farò tornare; e pur mi doglio
Che ’l cugin suo Boorte e Lionello
Non saran seco e tutto il loro ostello.
lxii
     Or prendete pur qui la cura intera
Di tener salda e stretta questa gente.
Così parlando, irato e ’n vista altera
Rivolge e sprona il suo corsier possente;
Ma Terrigano il grande e lunga schiera
De’ maggiori e miglior che all’alma sente
Del suo gir contro a tal temenza grave,
Pur malgrado di lui seguito l’ave.
lxiii
     Vanno oltra ratti e Bustarin gli scorge
Lungo il cammin d’Avarco, ove l’Orone
Su la man destra il lento corso porge
Di destrier morti colmo e di persone;
Nè molto van, che già vicin si scorge,
Chi del lor’ ivi andare era cagione,
Il chiaro Lancilotto, in mezzo entrato
Del popolo infelice e sconsolato.
lxiv
     Quando il mira Clodin, che proprio appare
L’accorto mietitor, che ’l verde fieno
Fa nell’april disteso riversare
Con la falce mortal de’ prati in seno;
Quel vedea morto e quel ferito andare
Dal brando micidial sovra ’l terreno,
Nè i miser contrastare a morte acerba
Più che faccia al villan la spiga o l’erba;