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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/222

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xlvi
     Mentre parlava ancor, di Bano il figlio
L’avide braccia a prenderlo stendea;
Lagnasi al fin con lagrimoso ciglio,
Ch’aria vana e non lui seco stringea;
Poi molto più ch’al candido e vermiglio
Ciel rivolgere il vol, lasso, il vedea,
Dicendo: E perchè m’è sì presto tolto
Il quetar gli occhi miei col vostro volto?
xlvii
     Ma nel dir questo e porger preghi al cielo,
Che ’l lassasse restare alquanto seco,
L’umido sonno già l’oscuro velo
Gli scioglie e fugge al suo nascoso speco;
Ond’ei surgendo con ardente zelo
Gli occhi volge d’intorno e riman cieco,
Chè non l’alluma più l’andata luce,
E l’aurora anco acerba poco luce.
xlviii
     Poi donando al gran sogno fede intera,
Dell’amico beato assai s’allegra;
Pur seguendo il costume, la sua schiera
Tutta fece coprir di vesta negra,
E mostrarse a ciascun come a chi pera
Caro padre, o figliuol, dogliosa et egra,
Non men di quella, ch’al principio venne
Con Galealto e seco si mantenne.
xlix
     Or si stava tra lor pensoso e muto
Fin che con gli altri Arturo ivi arrivassi;
Nè fu lungo l’attender, che venuto
E chi il lassa lontan non molti passi;
Drizzasi allora in piè, poi che veduto
L’ha presso al padiglion, nè ’ncontra fassi,
Ma la fronte inchinando, alle sue soglie
Tacito e in atto semplice l’accoglie.
l
     Fecel tosto asseder su ’l manco lato,
Ch’ebbe il dì Lancilotto il primo onore;
Indi ogni cavaliero e ’l più pregiato
Vien primo sempre a dimostrar dolore,
Poscia si riponea dove locato
Era il seggio per tutti ivi di fuore,
In doppio ordine posto, ove chi siede
Di quel che incontra sia la fronte vede:
li
     Assegnata in tra’ duoi sì larga strada,
Che possa il varco dar, che largo sia
A famoso drappel, che in guisa vada,
Che i pedestri guerrieri usan per via,
Come ripiena fu l’ampia contrada
Della reale e nobil compagnia,
E ch’assisa fu alquanto, in alto dire
Comanda il regio araldo indi partire.
lii
     Drizzansi tutti allora e ’l mezzo tiene
Del primier rigo il figlio del re Bano,
Seco in su ’l destro lato Arturo viene,
Il buon re Lago alla sinistra mano;
Preme indi appresso le dogliose arene
Sotto avendo Gaven, sopra Tristano,
Re Soriban, che Galealto solo
Amò come fratel, come figliuolo;
liii
     Chè d’Andromeda uscito a lui sorella
Il seguio fedelmente in ogni sorte;
Poscia il giovin Candor, nato anch’ei d’ella,
Vien tra il buon Maligante e ’l pio Boorte;
I quai mal fermi, ove pietà gli appella,
Volser pure onorar sì chiara morte;
Poi seguir tutti quei, che seco furo,
In mezzo a’ cavalier del grande Arturo.
liv
     Così taciti van con lento passo
Dentro al sacrato tempio, ivi construtto
Non di pietra porfirea o Pario sasso
Dall’Egeo, nè dall’Issico condutto,
Ma in marzial lavoro inculto e basso
Di più d’uno edificio ch’han destrutto;
Pure in tal l’ampio spazio si stendea,
Che gran parte dell’oste ricevea.
lv
     Cinto era tutto quel sopra e d’intorno,
Chiuso il lume solar, di drappo oscuro,
Ma tante faci ha in sen, che fanno scorno
Al dì ch’aggia l’april più vago e puro;
Poi tutto è in giro mestamente adorno,
Per mostrar del suo re l’effetto duro,
Do scudi, ove il leon vermiglio assiede
Tra perse stelle in argentata sede.
lvi
     Giunto il famoso stuol, sì come innanti
Trova i seggi ordinati, ove si posa
Ascoltando devoto i preghi santi
Della sacerdotal turba pietosa;
Alle lor note umili, a’ tristi canti,
Ch’hanno in voce or pienissima, or’ ascosa,
Chi con tacite labbra e chi col core
Va invocando del ciel l’alto favore.
lvii
     Poi ch’al sacrato uficio il fin s’impone,
Tutti al mondo primier ritorno fanno
Del mesto Lancilotto al padiglione,
Ove poi che rassisi alquanto stanno,
Grida l’araldo allor: Regie corone,
Duci alti e cavalier del preso affanno
Vi rendon grazie Lancilotto e i suoi,
E ’l partire e ’l restar sia posto in voi.
lviii
     Drizzasi il primo Arturo e salutati
Tutti quei che restaro, indi si parte;
Cotal di grado in grado i più pregiati
Il seguon tutti alla medesma parte;
Ma Lancilotto e gli altri sconsolati
Presso al re morto asseggono in disparte,
L’un dall’altro lontan, bagnando il volto
Con l’estremo dolor, ch’è in essi accolto.
lix
     E così notte e dì nel nono giorno
Questo angoscioso pianto si distese;
Come il decimo sol fece ritorno,
Fu imposto il fine al lamentar palese;
E ’l buon figlio di Ban per fare adorno,
Come l’uso chiedea del suo paese,
Il gran funebre onor, subito chiama
Tarquiro araldo suo di maggior fama;