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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/228

Da Wikisource.

cxxx
     Così paralava ancor, quando Malchino,
Malchino il grosso, che gigante appare,
Del popol di Moravia, a cui vicino
Il porto di Salute affrena il mare;
Ivi avanza ciascun, sì come il pino
Suol gli altri arbori intorno sormontare;
Getta ogni vesta all’arenosa valle,
E mostra nude fuor l’orride spalle.
cxxxi
     E quanti in giro son tanti ne sfida,
Dicendo: Or venga a noi di sì gran gente,
Chi più di tutti al suo valor s’affida,
E che si pensi meco esser possente.
Nessun risponde all’orgogliose grida
Per lungo spazio ed ei più fieramente
Le voci addoppia e le sue forze pregia,
Come quelle d’altrui biasma e dispregia.
cxxxii
     Non sa più il buon Tristano omai soffrire
Il superbo parlar, ma poi che vede,
Che pure altr’uom non vuole incontra uscire,
Verso lui tutto queto addrizza il piede;
Quando il mira Malchin, comincia a dire:
O di Meliadusse invitto erede,
Usare il vostro ardir sovra il cavallo,
Ch’a piedi e meco poi sarete in fallo.
cxxxiii
     Tace il saggio guerriero e spoglia intanto
Ciò che ’l copriva e nudo si presenta;
Il gran Malchin poi ch’ha tardato alquanto,
Tutto pien di furore a lui s’avventa,
Qual’ il geloso tauro ch’aggia a canto
La sua cara giovenca e guerra tenta
Contra il leone e d’atterrarlo spere,
Per aver più di lui le membra altere.
cxxxiv
     Cingel sotto le braccia e cerca in vano
D’alzarlo e sentel fermo su l’arena
Più ch’aspra quercia il vento Sussolano,
Nata in fra dure pietre e d’anni piena;
Lo scuote appresso or su la destra mano,
Or su l’altra più volte e ’n giro il mena;
Nè ’l ritrova men saldo in ogni sponda,
Ch’alto scoglio marin di Teti all’onda.
cxxxv
     Ma il sagace Tristan, ch’è sempre inteso
Di fare un colpo solo e ’l tempo aspetta;
Come il vede sforzando esser sospeso,
E non tener co i piè la terra stretta;
Alzandolo più ancor, con tutto il peso,
Ch’ha di petto e di braccia, ivi si getta,
Ove il sente più in aria e tal s’accampa,
Che delle spalle fa che il lito stampa;
cxxxvi
     Con quello alto romor ch’argine o ponte
Combattuto dall’onde caggia in esse;
Parve un colle minor sovra un gran monte
Tristan, quando Malchin col petto oppresse;
Le genti attorno con allegra fronte,
Cui nuova maraviglia i cori impresse,
Alzan le grida al ciel miste di riso,
Di vedere il maggior da lui conquiso.
cxxxvii
     Drizzansi entrambi e ’l misero perdente
Forbendo in alto l’omero arenoso
Di vegogna ripieno è sì dolente,
Che ’l cortese Tristan ne vien pietoso,
E dice in alta voce: Assai sovente
Fa la fortuna l’uom vittorioso,
Che di minor virtù fornito sia,
Come forse oggi a me fatto ha la mia.
cxxxviii
     Però, s’a voi paresse, io non rifiuto
D’esser con voi nella seconda prova.
Risponde quel: Pria ch’ora ho conosciuto
Il magnanimo cor che ’n voi si trova,
Siami assai d’una volta esser caduto,
Senza cercar da voi percossa nuova;
E basti ch’io vi cedo con lo scudo,
Con la lancia, co ’l brando, armato e nudo.
cxxxix
     Il chiaro figlio allor del gran re Bano
Si fa tosto portare il vaso aurato,
E dice: Or sia condotto al mio Tristano,
Che questo ed ogni pregio ha guadagnato,
Ove vorrà spigar l’arte e la mano,
E ’l valor suo che per vittorie è nato.
Risponde a lui Tristano: E chi porria
Lancilotto agguagliar di cortesia?
cxl
     E ben si prova in voi che la virtude,
Che si conosce in sè non aver pare,
Dell’altrui gloria nulla invidia chiude,
Certa di quella e tutte sormontare;
Non convien più che s’affatiche o sude
Per acquistare omai palme più chiare
La vostra altezza, ch’all’estrema punta,
Ove arriva il mortal, d’onore è giunta.
cxli
     Ride il pio Lancilotto e dice: Assai
Mi fia premer di voi l’orma vicina.
Col vello del leon poi gli aspri guai
Di Malchin sana e l’alta sua ruina;
Indi si volge a gli altri e dice: Omai
Poi che già il sol dall’alto punto inchina,
Venga qualcun con l’impiombato cesto
Ad onorar se stesso e ’l giorno festo.
cxlii
     E pregio simigliante avrà il vittore
All’arme onde acquistò gradita palma,
Ch’un nobil cesto fia cinto di fuore
Con piastre d’oro fin di grave salma,
Di seta ordito d’ostrico colore
Dentro, ove della man cuopre la palma;
E se ’l ver di sì lunge si conduce,
Fu il più onorato arnese di Polluce.
cxliii
     L’altro un’anfora d’or di giusta altezza
Di preziosi unguenti fido albergo,
Per dar conforto alla dogliosa asprezza
Di braccio intorto o d’impiagato tergo.
L’orgoglioso guerrier, ch’ogn’altro sprezza,
Tosto ch’ode il parlar si mostra a tergo,
Taulasso è costui della Montagna,
Nato dove il Solveo nel mare stagna.