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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/232

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clxxxvi
     Non contò gli altri don, che Maligante
Era già ratto accorso e Gargantino,
Poscia il re Pelinoro poco innante,
All’incontro Agraven che gli è vicino;
Più d’un re duce e cavaliero errante
Già per esser con lor prende il cammino,
Ma vedendo Tristan già surto in piede,
Privo d’ogni speranza indietro riede.
clxxxvii
     Fu il primo Gargantin, che in man si prende
La salda sbarra e ’ntorno la rimira;
Le forze e ’l peso esamina e comprende,
E tutto intento alla vittoria aspira;
Alza quanto sa il braccio, indi lo stende,
E col poter quanto ha spingendo tira
La ferrea salma, che volando freme,
E ben lunge da lui l’arena preme.
clxxxviii
     Doppo il primo avventar viene Agraveno,
A cui il loco secondo in sorte è dato;
Che di manco poter non parve pieno,
Che fere al par di lui l’istesso lato,
Ma ben d’arte maggior; che nel terreno
Meglio è confitta e in modo più lodato;
Pelinoro, ch’è ’l terzo, innanzi passa,
E i colpi d’ambe due più indietro lassa.
clxxxix
     Vien Maligante appresso e certo stima
Di potere avanzar quei tre di molto;
Ma perchè vuole aver la palma prima,
Usa tutto il saver ch’ha in sè raccolto;
Ch’or la prende al più basso, ora alla cima,
Or l’ha nel proprio mezzo il pugno avolto,
E va intorno librando il come e ’l d’onde
Al securo avventar meglio risponde.
cxc
     Poi chinandosi a terra, dell’arena
Rende aspro il ferro e la sudante mano,
Stringel ben poscia e la nervosa schiena
Forma in arco incurvato, indi pian piano
Ritorna in alto e poi con tanta lena
Il gettò da’ suoi piè così lontano,
Ch’al segno de i tre primi innanzi vada
Quanto lunga due volte avea la spada.
cxci
     L’ultimo fu Tristan ch’a lento passo
Alla prova ordinata si presenta;
Recasi il ferro in man, che giace in basso,
Così leggiero a lui ch’a pena il senta;
Poi d’ogni cura il cor mostrando casso,
Qual’asta il cacciator, sì forte avventa,
Che il nobil Maligante ha superato
Quanto tira il baston pastore irato.
cxcii
     Grida il popol d’intorno e ’l chiaro nome
Del vincitor Tristan porta alle stelle;
E Lancilotto a lui: Le vostre chiome
Già di mille corone ornate e belle
Non devranno sdegnar, che di vil some
Il loro antico onor si rinnovelle;
E gli porge d’oliva una ghirlanda,
Ch’ei guadagnò nella famosa Irlanda.
cxciii
     Dicendo: In cotal prova guadagnai
Questa nel suo terren dal buon re Claro;
E perch’altro miglior non vidi mai
Infino a questo dì, nè vissi avaro;
Or perchè cedo a voi, s’io meritai,
Che dono alcun de’ miei vi fosse caro,
Prendetela, vi prego, e non vi sia
A sdegno il suo valor, poi ch’ella è mia.
cxciv
     L’accetta il buon Tristano allegramente,
Dicendo: E come vostra oggi la prendo,
Non perch’a voi non ceda interamente,
Che ’l vostro al mio valor supremo intendo;
La spada ben’avrò come vincente,
Poi che più di quei quattro il ferro stendo.
Maligante lo scudo e Pelinoro
Ha il grand’elmo lucente ornato d’oro.
cxcv
     Una possente scura ad Agraveno
Diede pur Lancilotto, ch’ebbe insieme
Del medesmo Galeso e fa sereno
Il cor di Gargantin, che d’ira freme,
Con la mazza d’acciar ch’avea Drumeno,
Che dell’Ircania nelle parti estreme
Fu fabbricata in sì mirabil tempre,
Che ciò che percotea squarciava sempre.
cxcvi
     Al dritto saettar propone i pregi,
Dato a quel fine, il gran figliuol di Bano;
Una faretra pria d’aurati fregi
Piena di strali e l’arco Soriano;
Serba al secondo degli arcieri egregi
Un forte anel, che per tirar lontano
La corda incocche, ove un rubin riluce,
Che del foco e del sol vincea la luce.
cxcvii
     Una fromba è del terzo ornata e bella,
Di serico lavor contesta e d’oro:
Già s’appresenta il primo e gli altri appella
Il Nortfolco onorato Ganesmoro,
Dicendo: Quei che spinge amica stella
A commetter’a i venti i colpi loro,
Vengan senz’aspettar nuova richiesta
A sì onorata impresa come questa.
cxcviii
     Surge Baveno allora il pio cugino
Del chiaro Lancilotto, indi il fratello
Del fer Boorte, ch’era a lui vicino,
Muove seco anco il Franco Lionello;
Son già i tre insieme e ch’al voler divino
Chi sia in prova il primiero o questo o quello
Consenton si rimetta e i nomi d’essi
Al profondo d’un elmo son commessi.
cxcix
     Fu tratto innanzi il Gallico Baveno,
Poi Ganesmoro e Lionello appresso;
Ivi congiungon legni alti non meno,
Che nell’Ida Cretea pino o cipresso;
Pongon poi d’essi nell’estremo seno
Una colomba candida, ch’oppresso
Ha l’uno e l’altro piè da laccio breve,
Ch’esser de’ loro strali il segno deve.