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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/24

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liii
     Ma qual percosse qui l’aquila invano
Le sei colombe, nè tenute l’ave;
Nella settima poi l’adonca mano
Vincitrice sen gìo di preda grave;
Tale il sest’anno in quel paese strano
Vedrem, che indarno di dolor n’aggrave:
Ma nel settimo poi dorata salma
Avrem di Lauro e di famosa Palma -.
liv
     Or non volete adunque, anime chiare,
Dell’annunzio del Ciel vedere il fine,
Che cinque volte ancor veggiam tornare
Cintia, ch’or fugga il sole or s’avvicine?
Grande error certo fora il dispregiare
Per breve spazio le virtù divine,
E tanto più che in sè congiunto tiene
Il devere e l’onore e ’l nostro bene.
lv
     E perch’io so come a gran torto adopra
Chi di sprone il destrier corrente stringa,
Non vi voglio altro dir, se non ch’all’opra
Con magnanimo core ogn’uom s’accinga:
Ciascun dell’arme lucide si cuopra
E col ferro il valore intorno cinga,
Con sicuro sperar di dentro Avarco
Dormir, di preda e di vittoria carco.
lvi
     Ma innanzi fconvenevole ristoro
All’affanato corpo dia ciascuno,
Perchè frale è la forza di coloro
Che soverchia soffrir sete o digiuno;
Poi per discerner meglio il valor loro
Ogni gente, ogni duce ad uno ad uno
Comanda il re ch’a lui davanti vegna,
Con l’ordine richiesto e con la insegna.
lvii
     Così diss’egli, e ’l popol lieto intorno
Fece il ciel risonar con chiaro grido,
Quale il vento che vien dal mezzo giorno
Spingendo il mare al più sassoso lido,
Ove il monte più rotto innalzi il corno
Preparando a gli uccei sicuro il nido;
Poi l’un l’altro invitando in alta voce
Muovon verso l’albergo il piè veloce.
lviii
     Chi porge ivi nuov’esca al suo corsiero,
Chi la sella gli pon, chi addrizza il freno,
Chi riguarda il suo scudo, chi al cimiero
Le piume adatta che venian già meno.
Quel si ricuopre d’arme ardente e fero,
Quell’altro chiude i suoi pensieri in seno:
Questi ha vergogna di voltarsi al Cielo,
Questi altri il prega con divoto zelo.
lix
     Tra i privati guerrier, già intorno al foco
Chi legne apporta e chi vivande appresta,
Chi sgombra sassi s fa spazioso il loco
Ove la mensa poi si truovi presta:
Chè ciascun la fatica prende in gioco
Mentre la fame vincitrice resta;
La qual poi superata, ogn’uom riprende
O l’asta o l’arco che vicin gli pende.
lx
     Ma il magnanimo Arturo d’altra parte,
Sott’ampio padiglion che intorno ornato
Di seta e d’ostro con mirabil arte
Ha riccamente ogni sostegno aurato,
Dal suo divo German, quel che le carte
Celesti ha tutte intere rivoltato,
E di Gallia passato a Pandragone
Difese ivi di Dio la pia ragione;
lxi
     Nè sol l’alta dottrina e ’l santo essempio
Mostrò contra i nemici allor del vero,
Ma con l’arme compagno al duro scempio
Degli angli fu con l’onorato Utero:
Il qual mancato poi, del sommo tempio
Sotto d’Arturo ancor tenea l’impero;
Da costui dunque allor divoto e pio
Fu il suo richiesto onor renduto a Dio;
lxii
     Doppo il qual, con le luci al Ciel rivolte,
In atto e ’n voce umil così dicea:
Alto Signor che le nostr’alme hai tolte
Col morir del tuo Figlio a morte rea,
Fa ch’avanti che in notte il dì si volte
L’orgoglio abbassi che soverchio avea
Contr’a te, contr’a noi l’empio Clodasso,
Che di crudele oprar non fu mai lasso.
lxiii
     Così detto partisse, e gli altri ancora
Vanno a prender ristoro, e l’arme appresso;
Ma per voler del re con lui dimora
Il re Lago, ch’amò qual padre istesso,
Il buon Tristan, che sovr’ogni altro onore,
Il saggio Maligante e i giunti ad esso
Boorte e Lïonel, poi non chiamato
Restò Gaven, che sempre gli era a lato.
lxiv
     Fatti assedere all’onorata mensa,
Di prezïosi cibi intorno piena,
Or a questo or a quel dona e dispensa
Il re con fronte placida e serena,
In quel modo migliore in cui si pensa
Che scorger possa alcun di loro a pena
Che sia più in grado alla reale altezza,
Ma che di sorte egual ciascuno apprezza.
lxv
     Quando al fin fu di vino e di vivande
Il desio convenevole adempito,
Disse il re Lago: Poi che ’l sole spande
Già caldi i raggi, in alta parte gito,
E dell’estivo dì, ch’oggi è ’l più grande,
Il quarto del cammin quasi ha fornito,
Non tardiam più di dar principio all’opra
E seguire il voler di Chi sta sopra.
lxvi
     No ’l disse in van, ch’Arturo immantenente
Comandar fa che le sonore trombe
Empiano il ciel di grido alteramente,
Onde il fiume e la valle ne rimbombe;
Al cui roco romor l’armata gente
Lascia gli alberghi, a guisa di colombe
Ch’escan fuor nell’aurora ad ali stese
De’ seminati campi a i danni intese: