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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/29

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cxxiii
     Teodorico il quarto ha quei più lunge
Tra la Mosella ascosi e tra la Mosa,
I Lotteringhi e gli altri che disgiunge
Con la fronte Vosego in alto ombrosa,
Vorme, Argentina e Spira, dove aggiunge
L’altero Ren con la sua barba ondosa.
Ciascun sedici insegne sole accolse,
Che di pari onorargli il padre volse.
cxxiv
     Venne con lor Sicambro, il duce antico,
Che i quattro giovinetti in guardia prende:
Ostorio ha seco, il suo perfetto amico
Che del sangue medesimo discende.
Questi passar per mezzo l’inimico
Lito German, che quanto può difende
Quei di Coldasso; e senza tema o danno
Il Ren, mal grado suo, superat’hanno;
cxxv
     Però che di Franconia, che si giace
Lungo l’Ircinia all’onde del Mogono,
Sola al suo Clodoveo figlia verace,
Come si convenia, partiti sono,
Che de’ suoi più nemici ivi di pace
Di venti chiare insegne ha fatto dono;
Poi con lor Meroneo venne e Lotaro,
Ch’a gli Alemanni in guerra comandaro:
cxxvi
     De’ quai solo otto insegne spiega al vento,
Sendo la gente lor ridotta a poco;
Che ’l numero miglior allor fu spento
Che ’l franco Clodoveo con ferro e foco
D’essi oppresse il furore e l’ardimento,
Di libertà spogliandoli e di loco;
Ma quei cui perdonò, fede e valore
Gli mostrar poscia sempre e puro amore.
cxxvii
     Presso a i quattro fratei, dal manco lato
Ne veniva il chiarissimo Boorte,
D’un fratel del re Bano in Gave nato
Nè molto men di Lancilotto forte:
Del paludoso Angiò d’arbori ornato
E di Torsi fruttifero ave scorte
Con quanto abbraccia d’ognintorno l’Era,
E d’otto piene insegne adduce schiera.
cxxviii
     Doppo costui seguìa Florio il Toscano,
Che nobilmente sopra l’Arno nacque
Vicino al chiaro Monte Fiesolano
Ove perde Mugnone il nome e l’acque:
Che giovinetto già s’oppose in vano
Al Gottico furor, ma vinto giacque;
Nè potendo soffrir quel fero giogo
Si dispose a cangiar fortuna e luogo;
cxxix
     E con tutti i miglior di sangue e d’opra
Nel paese onorato a lui vicino,
Intra ’l Tebro e la Magra, ove ’l mar copra,
E la nevosa fronte d’Appennino,
Con pregar tanto e con promesse, adopra
Che gli conduce a mettersi in cammino
Di dare al grande Arturo alto soccorso,
Il cui nome real per tutto è corso.
cxxx
     E tanto più s’accendon poi che sanno
Che ’l Goto imperador molti in aita
Ha mandati a Clodasso, e passat’hanno
Per l’Alpi aperte e per la via più trita,
Ond’essi allor senza timore o danno
Gir non potean, chè loro era impedita.
Resta solo il cammin sicuro in mare,
Che nuovo, lungo e periglioso appare:
cxxxi
     Ma la chiara virtù, ch’è scorta e chiave
D’ogni serrato varco, gli provide,
Ch’ove l’Arno va in mar non mancò nave,
Ma molte ne trovar sicure e fide.
Venti ne appresta, e fa ciascuna grave
D’una sua insegna, oltra i nocchieri e guide;
E ’l chiaro ciel, ch’a’ bei disegni aspira,
O l’Euro o l’Aquilon dì e notte spira.
cxxxii
     Così il Liguro, il Gallo e ’l Mare Ispano
Trapassando veloci e ’l Freto ancora,
Volgonsi presso a Gade a destra mano
Con l’Austro addietro che lor presta l’Ora:
Il promontorio sacro di lontano
Lassando e ’l Nerio e ’l Cantabro di fuora,
L’Aquitania e l’Armorica riviera,
Scesero al fine a Nante sopra l’Era;
cxxxiii
     E già ’l terz’anno avea rivolto il sole
Che sotto Arturo fea mirabil pruove.
Lancilotto non v’era, onde si duole
Ogni nobil guerrier ch’ivi si truove:
Stassi irato da parte, e veder vuole
Il fin de la battaglia che si muove;
E i suoi, che ’n diece insegne avea compresi,
Tutti son di diversi e stran paesi:
cxxxiv
     Di Germania, di Gallia e di Brettagna
I miglior cavalieri e pien d’onore,
Chi della bella Italia e chi di Spagna,
Dell’alte sue virtù corsi al romore;
Non ha invidia fra lor chi più guadagna,
Ma chi mostra più ardire e più valore;
Molti ha di Gorre, e molti suoi cugini
Di Berri e d’altri luoghi a lui vicini.
cxxxv
     Ma sopra tutti i suoi, più illustri foro
Quei cavalier che liberati avea
Della Dogliosa Guardia, ove in oscuro
Sito l’empio castel chiusi tenea;
Poi quel fresco di forze e d’anni duro
Chiaro Lambego il tutto correggea,
E ’l seguì sempre in ogni sua fortuna,
Che nudrito l’avea fin dalla cuna.
cxxxvi
     Non v’era anco il possente Galealto,
Che Lancilotto suo non può lassare
E fatto ha contr’Arturo il cor di smalto
Per l’ingrato voler che in esso appare;
E vieta che non vadano all’assalto
Ch’ei sente contro Avarco apparecchiare
Le sue genti, che seco avea menate
Dall’Isole Lontane fortunate,