Vai al contenuto

Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/34

Da Wikisource.

ix
     Poi sì come sovente in cima a i monti
Vien nebbia folta all’apparir del giorno,
Che non pon di pastor gli occhi più pronti
L’avventar d’un baston vederse intorno;
Tal la polve facea delle due fronti
Ch’andava al ciel tra l’uno e l’altro corno,
Pria ch’arrivati sieno in quei confini
Ove scorger si pon chiari e vicini.
x
     Spinge allora animoso il gran corsiero
Clodino, i suoi lassando, e fassi avanti;
E con voce alta minaccioso e fero
Dice: Ove sono i buon guerrieri erranti
Onde il Britanno mar va così altero,
Nè vuol che d’altro si ragioni e canti?
Vengan meco a provar se in questa parte
Parco del suo valor sia stato Marte.
xi
     E quantunque avvenuto sia talora
Che di noi riportate aggiano spoglie,
Fortuna il fece, che i men degni onora
E che contra virtude arma le voglie;
Oggi è venuta, a quel ch’io speri, l’ora
Che l’infedel l’antica usanza spoglie,
E di sè lasci libera la strada
Sì che solo il valor cinga la spada.
xii
     Venga chi vorrà pur degli infiniti
Cavalier d’oro ornati e di splendore,
Ch’io veggia a pruova se saran forniti
Di virtù dentro come d’arme fuore:
Che non sempre adivien che sien vestiti
D’un medesmo color la fronte e ’l core;
E venga or, perchè indarno attenderei
Poi che saran mischiati i buoni e ’ rei.
xiii
     Al cominciar dell’alte sue parole
L’uno esercito e l’altro il passo tenne,
Dando quella udïenza che si suole
A chi dir cosa ch’assai pesi accenne:
Onde a molti d’Arturo ciò che vuole
Agevolmente a conoscenza venne,
Ma intra i primi a Gaven, che in umil preghi
Chiede al gran re ch’al suo voler si pieghi;
xiv
     E che il lasci provar le forze seco,
Di che molti anni pria desire avea,
Dicendo: Egli è Clodin, l’animo cieco
Contra virtude e pien d’invidia rea,
Che in ogni mio disegno ha sempre meco
Conteso a torto: e se mi concedea
Della sorella sua le nozze amate,
Or saria senza sangue questa etate.
xv
     S’io d’una vostra suora, ei di Clodasso
Figlio è primiero, e del suo regno erede;
Non è fra tutti i suoi di valor casso,
Anzi in arme adoprare a nessun cede:
Tal che non può stimar più indegno o basso
L’un che l’altro di noi chi ’l dritto vede;
Resta sol che chi al Ciel fia più gradito
Si veggia vincitor, l’altro schernito.
xvi
     Non volse a i giusti preghi contradire
Il magnanimo re, ma gliel concesse;
Così lieto Gaven con molto ardire
Correndo verso lui la rena presse,
E dice: A contentar vostro desire
Vengh’io con l’armi, e con le voglie istesse
Ch’io veggio e sento in voi, cui tosto spero
Morto o vivo tener sotto il mio impero.
xvii
     Ben conobbe Clodin l’aquila d’oro
Nel campo porporin ch’avea Gaveno,
E gli risponde: Assai di voi m’onoro,
Nè per sangue di me v’apprezzo meno;
Ma poco apporta al marzïal lavoro
Bellezza, nobiltà, stato e terreno:
Io cercava un di voi più ardito e forte,
Come saria Tristan, come Boorte.
xviii
     Ma pur senza sdegnarvi non rifiuto
Di provar chi di noi più in arme vaglia,
Senza sperar, vincendo, esser tenuto
Molto in pregio maggior di tal battaglia.
Or non fu in tempo alcun già mai veduto
Per gran foco avvampare arida paglia
Come in quel punto d’ira il fero Orcano
Ardeva, al dir del cavaliero strano;
xix
     E gli risponde al fine: In altra parte
E innanzi a questo dì so il troppo orgoglio,
Quel ch’ogni cortesia da voi diparte
Come i semi miglior da’ campi l’oglio.
Voi vi fate appellar da gli altri Marte,
S’egli è vero il romor ch’udir ne soglio;
E questo baste assai per dar risposta
Alla vostra vanissima proposta.
xx
     Pur, poi che ’n pregio tal vi piace averme,
Patteggiamo in fra noi la nostra guerra:
Che send’io vincitor Clodasso inerme
Lasse in forza de’ nostri oggi la terra;
Se prigioniero o morto ritenerme
Vi concedesse il Ciel, quanto si serra
Di qua dal nostro mar si renda a voi,
E ’n Brettagna ritorni Arturo e i suoi.
xxi
     Risponde a lui Clodino: Il più felice
Di quanti io vidi mai fia questo giorno,
Se ’l medesmo giurando afferma e dice
Colui ch’è sopra voi di scettro adorno:
Perchè in sì grave impresa a noi non lice
Obligar chi ne regge a danno e scorno;
Ma tengo ferma speme che ’l mio padre
Mi donerà se stesso e le sue squadre.
xxii
     Fate il medesmo voi, poscia si vegna,
Ogni indugio lassando, tosto all’opra:
Che non senza cagion voglia sì degna
Avrà svegliata in noi Chi sta di sopra.
Così posto fra loro, alla sua insegna
Torna ciascuno, e quanto puote adopra
D’accordare il suo re che induca l’alma
A commetter in lui sì grave salma.