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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/35

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xxiii
     Narra al suo Segurano e Palamede
Clodino il tutto, e lor soggiugne poi:
S’aveste, alti signor, talvolta fede
In quel poco valor che giace in noi,
O se sperate mai qualche mercede
Render al sommo amor ch’io porto a voi,
Fate che ’l padre mio voglia d’Avarco
Sopra gli omeri miei porr’oggi il carco.
xxiv
     E ’l farà veramente, se v’aggrada
Di dimostrargli ben quanto Gaveno
Sia più nobil che forte, e la sua spada
Quanto sia della mia pregiata meno;
E che per tal sicura e breve strada,
Potrà in pace riporre il suo terreno,
Senza mettere in rischio oggi altramente
Così bella, onorata e chiara gente.
xxv
     De’ due chiari guerrier, quantunque fosse
Lor la nuova richiesta acerba e dura,
Quell’alto supplicar gli animi mosse,
E di lui contentar prendon la cura;
E Dinadan, che ’l primo ivi trovosse,
Mandan volando nelle regie mura,
Che ciò narre a Clodasso, e ’l preghi appresso
Che per meglio ordinar venga egli stesso.
xxvi
     Ritruova il vecchio re che in alto assiso
Con quei che per età non veston maglia
E con le donne intorno, a mirar fiso
Stava quel che seguia della battaglia
Col cor tremante e l’animo diviso
D’ogni dolcezza: e come piuma o paglia
De i venti preda al tempestoso giorno
Or alta or bassa si raggira intorno;
xxvii
     Così fanno i pensier, che tema e spene
Nella canuta mente cangia e muove:
Ch’or per sè la vittoria aperta tiene
Come se ’l promettesser Marte e Giove,
Or si dipinge aver novelle pene
Simili a molti già provate altrove;
E mentre questo e quello il sana e punge
Dinadan vede che correndo giunge.
xxviii
     Fecesi tutto pallido nel volto,
Ch’ogni sangue ch’avea ricorse al core:
E se l’altro tardava a parlar molto
Quasi cadea di subito timore;
Ma lieto Dinadano a lui rivolto
Disse: Ottime novelle, alto signore,
Vi port’io, che ’n voi sta ch’un giorno solo
Purghe il vostro terren d’ogn’aspro duolo.
xxix
     La gran lite ch’aviam riposta fia,
Quando non spiaccia a voi, nella virtude
Del buon vostro Clodin, ch’a guerra sia
Con uom ch’ha di poter le forze nude:
Quest’è Gaven, che la fortuna ria
Vuol ch’a suo danno s’affatiche e sude;
E se vinto sarà, promette Arturo
Lassare Avarco libero e sicuro,
xxx
     Con tutte l’altre ville e quel paese
Ch’egli ha mai guadagnato sopra voi,
E ritornarsen poscia ad ali stese
Oltra il Britanno mar con tutti i suoi:
Ma se ’l Cielo a Gaven sarà cortese,
E le sue stelle irate contro a noi,
Che gli darete Avarco, e quanto in mano
Ritenete de’ Franchi e del re Bano,
xxxi
     Ma ciò male esser può, che quella parte
Ch’aggia il dritto e ’l valor per guida e duce,
Come avem noi, può camminar senz’arte,
Ch’al desïato corso si conduce;
Or tutti i vostri, in publico e ’n disparte,
Quasi allumati dalla eterna luce,
Son di stessa sentenza, che vi piaccia
Venir là tosto, e ’l tutto ivi si faccia.
xxxii
     L’antico re di meraviglia pieno
Si fece, udendo il subito consiglio;
Poi con core e con volto assai sereno
Disse: Quando a Dio piace che ’l mio figlio
Porga le spalle solo, e spanda il seno
Al comun peso, al publico periglio,
Non andrò contro a lui, che ’ndarno adopra
Chi s’oppone al voler che vien di sopra.
xxxiii
     Poi volto a gli scudier comanda loro
Di tosto aver l’usata sua lettica,
Di fuor lucente di finissimo oro
Cui gran fregio di gemme a torno intrica,
Dentro scolpiti di sottil lavoro,
Quanti ha nel maggio fior la terra aprica;
In essa da i medesmi si fa porre,
E per compagno vuole il re Vagorre,
xxxiv
     Suo germano ed amico, a cui l’etade,
Sì come ancora a lui, la guerra vieta:
D’alto consiglio e pien di veritade,
E che rado smarrì la dritta meta;
Poi ratti van per le più corte strade
Ove la gente sua dubbiosa e lieta
L’attendea, per veder quale il fin sia
Del desïato accordo ch’era in via.
xxxv
     Dall’altra parte, più impedito truova
Gaveno e più spinoso il suo sentiero:
Nè puote argomentar sì ben che muova
Arturo a contentare il suo pensiero,
Che dicea: Quanto è impresa dura e nuova
Il tutto espòr, sotto l’infido impero
Di fortuna, in un sol che in un momento
Sia di mille e mill’anni il frutto spento?
xxxvi
     Pur ripensando meco ch’assai pare
Il valor sembra ch’ha di voi ciascuno,
E che più accorto e di più senno appare
Gaven dell’altro, e di furor digiuno,
E che da sangue e morte conservare
Tanta e tal gente col periglio d’uno
È pur cosa degnissima, e richiesta
A chi d’alta corona orni la testa;