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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/50

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xi
     E pria ch’a lui ferir presto il vedesse
Il colpo gli addrizzò dove le coste
Son nel mezzo del petto aggiunte e spesse,
Delle parti migliori in guardia poste:
E passò levemente oltra per esse
Nelle spine del dorso, a quelle opposte;
Così la man, percosse quelle a pena,
Lasciò l’asta cader sopra la rena,
xii
     Ed ei tutto incurvato, e riversando
Per la bocca doglioso l’esca e ’l vino,
Andò col volto in giù di vita in bando
E diè l’ultimo fine al suo destino.
Trovò doppo costui, che van cercando
Se sarà il ferro lor del suo più fino,
Astillo, Polipete, Ablero, Elato
Ai quali ad uno ad un la morte ha dato;
xiii
     Tutti nati in Usfalia, in mezzo l’onde
Di Visurgo e d’Amasio a cui del Reno
La destra foce di non molto asconde
L’acque ch’all’oceàn ripone in seno.
Segue oltra Eretto, e qual l’aride fronde,
Poi che il calore estivo già vien meno,
Nel tardo autunno d’Aquilone al fiato
Caggion, nudo lassando il tronco amato;
xiv
     Tal da colpi di lui cader si vede
Gente infinita poi di sangue oscura,
E ’n guisa fa ch’omai ciascun col piede,
Non con la man la vita s’assecura:
Già tutto il corno a lui soletto cede,
Chi per forza d’altrui, chi per paura,
Perchè i pochi e miglior di tema sciolti
Son via portati dal fuggir de’ molti.
xv
     Ma il feroce Brunoro e Dinadano,
Il suo caro fratello, han tosto udito
Il gran danno de’ suoi molto lontano
Da Marigarto il grande, che ferito
Vicino al braccio nella destra mano,
Non potendo altro far, volando è gito
E grida in alto suon: Drizzate il passo
Ove il popol vi chiama afflitto e lasso;
xvi
     E senza oltra più dir ratti gli mena
Ove d’un sol temea la folta schiera,
All’apparir de’ quai tutta ripiena
Tornò di gioia e di speranza altera:
Non altrimenti, allor che rasserena
Il ciel, doppo l’algente orrida e fera
Del rio verno stagion, tornan gli augelli
Sopra i rami a cantar gaietti e snelli.
xvii
     Cotal si scerser tutti rivestire
Lo smarrito vigore, alta marcede
Rendendo a Dio che non volea soffrire
Che lungo fosse il danno che gli diede.
Or già ricinto il dispogliato ardire
Ciascun verso i nemici torna il piede,
E col favor de’ duo gran duci insieme
Ove indietro fuggiva, innanzi preme.
xviii
     Avea Brunoro il Nero in quella parte
Onde allor si movea, l’asta troncata;
Però dal suo scudier, ch’era in disparte,
Lo scudo ha tolto, dove in argentata
Sede surge il leon, che in estrana arte
Di rosso e brun la veste avea cangiata:
Poi tratta fuor la sua pesante spada
Facea col suo valore a gli altri strada.
xix
     In compagnia non solo ha Dinadano,
Ma Nabone il fellone ed Agrogero,
Che fu chiamato il crudo, e Terrigano
Il grande insieme, e Gracedono il fero;
E perchè da quel loco iva lontano,
Di quei che dimorar lassò l’impero
A Margondo, Galindo e Gunebaldo,
Che ’l tenesser composto, unito e saldo.
xx
     Ma come all’arrivar de i can più fidi
Suol l’orecchie levar lupo rapace
Ch’avea trovata in solitari lidi
La greggia stanca che nell’ombra giace,
Che la fame al predar vuol che s’affidi,
E ’l contrario di lei temenza face:
E mentre è ’n dubbio ancor, tal forza ha sopra
Che del bosco convien s’asconda e cuopra;
xxi
     Così nel sorvenir di guerrir tali
Fè il valoroso Eretto, che si duole
Ch’aggian tarpate a tal vittoria l’ali,
E desia di seguir come pria suole:
Ma l’arme di costor, ch’han pochi eguali,
Già lo sforzano a far quel che men vuole,
Onde i colpi schifando accolto e basso
Si ripose fra’ suoi con lento passo,
xxii
     E quanto puote il meglio lui conforta
Ciascuno a non temer l’atra tempesta
Ch’una subita nube loro apporta,
Che quanto ha più furor, più tosto resta;
E per ben lor fermar salda la porta
Raddoppia insieme alla primiera testa
Quanti scudi ha quel lato, e curvi a terra
Vuol che sostengan sol, non muovan guerra.
xxiii
     Ma quei, rimessa in un la miglior parte,
Mossi d’alto disio di vendicarse
Venian con tal ardir, che ’l propio Marte
Quasi avria contr’a lor le forze scarse:
E ben ch’ivi ritrovin con molta arte
A i disegni animosi contrastarse,
Non perdon la speranza, anzi l’impresa
Van seguitando più ch’è più difesa.
xxiv
     Son le due schiere già sì giunte insieme
Che ’l braccio con la man resta impedito;
Nessun ritira il passo e ciascun preme
Senza avanzarsi il termine d’un dito,
Ciascun gli altri minaccia e nessun teme,
Nè del suo percussor cura il ferito:
E non gli scudi pur, ma dansi in alto
Le celate e i cimier l’istesso assalto.