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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/72

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xcv
     Sopra il primo che vien, se stesso sprona
L’irato Iberno, e scese l’aspra sorte
Nel pio Drianzo, a cui tal colpo dona
Sopra l’elmo ben fin, che ’l pose a morte;
Poi con superbe voci alto ragiona:
Venga innanzi di voi chi sia più forte,
Perchè possa sentir se questa spada
Men grave in lui che nel compagno vada.
xcvi
     Ma l’altra schiera insieme va ristretta,
Chè così gli ammaestra il vecchio saggio,
Dicendo: Chi desia di far vendetta
No ’l deve refutar, quand’ha vantaggio.
S’io fussi ancor di quell’età perfetta
Che fu degli anni miei l’aprile e ’l maggio,
Andrei certo più tosto ignudo e solo
Ch’or con tali arme e con sì largo stuolo.
xcvii
     Ma il meglio è d’obbedire alla natura,
E quali ella ne dà, le forze usare;
E tanto più colui che sol procura
La salute e ’l ben publico servare.
Però senza tenere or d’altro cura
Che di questo crudel quindi levare,
Andiam congiunti insieme, perchè invano
Sarebbe un sol di noi con Segurano:
xcviii
     Ch’ancor ch’e’ sia di me più giovin tanto
Ch’io non fussi giamai seco a battaglia,
Sento da tutto il mondo dargli il vanto
Sovr’ogni cavalier che vesta maglia;
E bench’e’ ceda a Lancilotto alquanto
Al possente Tristan forse s’agguaglia:
E l’un sendo lontano, e l’altro irato,
Deviam ben riguardare al nostro stato.
xcix
     Così dicendo, angusto cerchio fanno,
Che ben doppiato sia da ciascun lato,
Al feroce guerrier, che mortal danno
A Matagrante d’una punta ha dato
Che gli ha passato il cor; ma gli altri l’hanno
Col sovente ferir tutto intonato,
Sì che gli sembra il mondo gire intorno
Di color vari e di facelle adorno:
c
     Onde sforzato al fin ritira il passo,
E poi con degnità fra’ suoi si resta,
Di sdegno più che di fatica lasso
O che d’aspre percosse della testa;
E quando è in sè, d’ogni speranza casso
Di passare oltra il vallo che l’arresta,
Rivolta in altra parte e in altra strada
L’aspro furor della mortale spada:
ci
     Simile a quel possente altero fiume
A cui l’arte e ’l valor d’umani ingegni,
Ove il corso drizzare avea costume,
Chiuser con gravi sassi e duri legni;
Nè sia di forza tal ch’apra e consume
Di sotto o intorno i validi sostegni,
Che per altro sentiero abbatte e svelle
Quando incontra, e ’l romor vola alle stelle.
cii
     Torna alla sua sinistra, là dov’era
Creuso, Ivano e ’l nobile Mambrino,
Nella parte a cui stende la riviera
Il suo lido arenoso più vicino,
Ch’a battaglia ivi perigliosa e fera
Son con Brunoro il Nero e con Clodino:
Ma così va di par, ch’essi non sanno
Chi più s’aggia di lor vittoria o danno.
ciii
     Ma nel primo apparir di Segurano
La volubil fortuna il dubbio solve:
Ch’apena giunto ancor la cruda mano
Ha gettato riverso tra la polve
Il forte Attorïon, cugin d’Ivano,
Il qual, mentre che l’alma si dissolve,
Chiede al suo vel terrestre sepoltura,
Per non restar di cani empia pastura;
civ
     E luogo ebbe il pregar, ma non sì tosto,
Ch’allora è in altro affar ciascuno inteso:
Perchè non lunge a lui per terra ha posto
Il giovin Menesteo da morte offeso,
Ch’al possente furore indarno opposto
Sperò di sostener più grave peso
Che non fu il suo valore; e se n’accorse
Quando il colpo mortale al ventre scorse.
cv
     Doppo costoro uccise in un momento
Sfeleo, Clonio, Micipso e Licofone,
Che tutti avean suggetti e reggimento
Ove nel mar Sabrina si ripone.
Passa oltra il crudo, e tra ’l fugace armento
Sembra affamato e rabido leone
Che d’altra preda pria spogliato fosse
Da pastorale schiera che ’l percosse.
cvi
     Creuso il Senesciallo e ’l prode Ivano
Co i miglior cavalier ch’aggiano appresso,
Ben ristretti fra lor, drizzan la mano
Ove il popol vicin più viene oppresso:
Ma quando oprano in ciò ritorna vano,
Che lo stuol paventoso in fuga messo
Avea chiuso il cammino, e ’n tutta forza
Di fermare ivi il piè ciascuno sforza.
cvii
     Surge Mambrino il saggio d’altra parte,
Che men l’aspra tempesta avea sentita:
Sveglia chiamando il buon popol di Marte
E ’n tai conforti alla difesa invita:
Ora è ’l tempo a mostrar se l’antic’arte
Del militare studio è in noi fallita,
Che fu già sì pregiata in Bangaria
Che di tutta Brettagna il vanto avia;
cviii
     O se siamo i medesmi che più volte
Al Betico furor ponemmo il freno,
Che già con mille navi insieme accolte
N’avean privati del natio terreno:
Onde tante poi fur tra fiamme avvolte,
Quando del sangue lor c’empiemmo il seno;
O quelli stessi ch’al vicino Iberno
Aviam fatto sovente e danno e scherno.