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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/76

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xxxiii
     Come ha ben provveduto Segurano,
E le forze addoppiate in ogni lato,
Già di tutto a Clodin la cura in mano
Ed a Brunoro il Nero avea lassato;
E col Nero perduto e con Rossano
Sopra un alto corsiero era montato,
Per gir con arme egual verso quel loco
Ove Arturo accendea l’ardente foco.
xxxiv
     In questa ecco arrivar di sudor carco
Il più onorato araldo di Clodasso,
Il saggio Ideo, che lì venìa d’Avarco
Mandato a Seguran con ratto passo;
E gli dice: Signor, se in alto varco
Vi sollevi oggi il cielo, e spinga in basso
Arturo, il nostro re prega che vui
Lassando ogn’altro affar vegniate a lui,
xxxv
     Per cosa appalesar che molto importa
Allo stato comune, e molto preme;
E d’altro tanto il supplica e conforta
La consorte real, la figlia insieme:
E meniate con voi la cara scorta
Del famoso Clodin, lor somma speme;
E ’l vostro dimorar sì breve fia
Che danno indi nessuno uscir potria.
xxxvi
     Mentre ascolta il guerriero, il dubbio core
Sente in mille maniere entro cangiarse:
Muovelo il suo gran re, muovel l’amore
Della sposa gentile ond’arde ed arse;
D’altra parte il ritien l’ira e ’l furore
E l’ardente desio di vendicarse.
Pur dispon d’ubbidir, vedendo pure
Di lassar le sue schiere assai secure;
xxxvii
     E chiamato Clodin gli dice: Frate,
Ov’è ’l nostro gran re, gir ne conviene,
Come Ideo vi dirà: però lassate
A Brunor, che di voi vece sostiene,
Che con riguardo pio, fin che torniate,
Provveggia intorno, ove il bisogno viene.
Così fece egli, e mossero indi il piede
Inverso la real d’Avarco sede:
xxxviii
     Ove schiera infinita innanzi accorre
Di donne, vecchierei, di turba inerme,
Pregando il cielo e quei di fine imporre
A i gran perigli di lor vite inferme.
Vanno oltra poscia, e sovra una alta torre
Di gran mura ricinta antiche e ferme,
Onde aperto veder si puote in basso
Ciò che ’l campo facea, trovan Clodasso:
xxxix
     Che con Albina sua, l’antica sposa,
E con l’amata figlia Claudïana
Stava a mirar con l’anima dogliosa
De’ suoi ’l valor contra la gente strana;
E perchè avean già scorta la famosa
Coppia che per venir movea lontana,
Insperata non giunse, ma sì cara
Che lor fece addolcir la cura amara.
xl
     Stringe il tenero padre il giovin figlio,
E ’l valoroso genero indi abbraccia;
La madre pia con lagrimoso ciglio
Appellando ambedue stende le braccia;
La vaga sposa avea d’un bel vermiglio
D’intorno ornata l’amorosa faccia,
Nè sa che farse e ’n lei combatte insieme
La vergogna e ’l desir, che punge e preme:
xli
     Ma con tremante cor tacita attende,
E del paterno amor si lagna omai
Che sì lunga ora in ritenere spende
Chi più degli occhi suoi tien caro assai.
Ma il suo buon Seguran, che solo intende
Di rivolger la vista a i dolci rai,
Sì tosto come puote indi si scioglie
E l’onesta consorte lieto accoglie:
xlii
     Da cui di dolci lagrime bagnato,
Senza parola udir, tutto si sente,
Infin che di Clodin, ch’era da lato,
La sveglia il ragionar savemente,
E le dice: Sorella, in questo stato
Dimorar suol colei che sia dolente,
Non chi vede il consorte in somma gloria
De’ suoi feri nemici aver vittoria.
xliii
     A cui risponde allor: Fratel diletto,
Del presente esser suo già non mi doglio,
Anzi ringrazio il ciel che l’abbia eletto
Per domar a i nemici il crudo orgoglio.
Ma chi può navigar senza sospetto
Di tempo avverso o di nascoso scoglio,
E sia pur queto il mar, sereno il cielo,
E la stagion miglior che ancide il gielo?
xliv
     Chi può securo star sotto la luna,
Ove si cangia il tutto in un momento?
Sono i doni e gli onor della fortuna
Sì come arida fronda o paglia al vento:
A cui staman fu chiara, oggi s’imbruna
E ’l passato dolzor volge in tormento;
Tal ch’ogni uomo a ragion vive in timore,
E per un mille un amoroso core.
xlv
     Qui finio ’l suo parlar, che ’l regio veglio
Il gran genero appella e ’l pio figliuolo,
E dice ad ambedue: Però che il meglio
Fu di ricorrer sempre a colui solo
Ch’è d’arme e di valor l’altero speglio
E che del quinto ciel corregge il volo,
Dico il possente ed onorato Marte
Che n’ha graditi ogn’ora e in ogni parte
xlvi
     Perchè venner di lui l’antiche genti
Onde ’l sangue vandalico discese;
Mi par ch’a lui deviam drizzar le menti
In tai perigli e ’n sì mortali imprese,
E supplicarlo umil che uccisi e spenti
Renda i nemici, e libero il paese
Che col favor di lui, di ferro cinto,
Ho in sommo mio sudor conquiso e vinto.