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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/86

Da Wikisource.

liii
     La nuzzial sua gonna adunque elesse,
Già di tal padre don, la pia regina.
La bella Claudiana dall’istesse
Sue man tutto ripien d’opra divina
Elesse un velo, in cui le stelle impresse
Erano, e ’n mezzo il sol ch’alto cammina
Riscaldando sereno al mezzogiorno
Del suo friseo monton l’erboso corno.
liv
     Non molto dietro a lui l’alma sorella
Con la fronte falcata in Tauro assiede:
Di Giove ha innanzi la benigna stella
Che ’n tra gli umidi Pesci ha dolce sede;
Seco ha la figlia, che ridente e bella
Di pie fiamme d’amor gli animi fiede,
E l’alato corrier con la sua verga
Lieto di tale onor fra loro alberga.
lv
     Nel fondo estremo alla contraria parte,
Vicin dove la terra ha maggior l’ombra,
Nel frigido Scorpion si vedea Marte,
Che con vista mortal nessuno adombra.
Quel che divora i figli era in disparte,
Che l’adeguante Libra di sè ingombra,
E ’l punto oriental nell’orizzonte
Ha del Nemeo Leon la prima fronte.
lvi
     In tal guisa adornato il ricco velo
Sì lucente apparia di gemme e d’oro,
Che poco il vero sol, le stelle e ’l cielo
Avanzavan d’onore il bel lavoro:
Che già molti anni pria con sommo zelo
Di placar per tal modo il divin coro
Le mostrò tutto il saggio Clitomede,
Che l’infelice fin di tutto vede,
lvii
     Dicendo a lei: Poi ch’uom mortal non puote
A sua voglia temprar l’eterne stelle
Che rivolgon lassù l’eterne rote,
A chi fide compagne, a chi rubelle,
Le più amiche virtù ch’a noi son note,
Quant’è il nostro poter, sien poste in elle
Per la vergine vostra e real mano,
Pregando il ciel che non s’adopre in vano;
lviii
     E ’l giorno poi di vostre nozze altere
Sopra il letto real per voi si stenda
Con voci umili e fervide preghiere
Che ’l ciel simile a questo il corso prenda
E ’nsieme accordi le sublimi spere
Eguali al vostro velo, onde discenda
Tal favor sopra voi, sopra lo sposo,
Ch’eterna sia de i due gloria e riposo.
lix
     Di tutto l’obbedìo la regia figlia,
E con bramosa man l’addusse al fine,
Di lui destando invidia e meraviglia
Tra le proprie donzelle e le vicine.
Poi nel dì nuzzial, tutta vermiglia
Nel volto, ove splendean le bianche brine,
Di pudica vergogna e di desire,
Il letto genial ne fè covrire.
lx
     Or questo prende allor, nè solo il volse
Per placare e ’nvocar l’altera dea,
Ma l’onorato scudo seco accolse
Ch’all’albergo vicino alto pendea:
Quel che ’l suo Segurano in guerra tolse
Allor che ’l regno suo gli contendea
Il famoso d’Irlanda Lamoralto,
Di cui fu vincitor nel fero assalto;
lxi
     E fu il consiglio pur di Clitomede,
Ch’a lei disse: O regina, questa spoglia
Fia carissima a Palla, come erede
Di quanto armata mano acquistar soglia;
E s’a i consigli miei darete fede
N’adornerete ancor la sacra soglia:
E ’l merta ben, poi che col suo favore
Acquistò ’l vostro sposo il largo onore;
lxii
     Perchè dicendo un giorno a Segurano
Suo padre illustre Galealto il Bruno:
- Se sperate figliuol, sperate in vano
Coronarvi per me di regno alcuno,
Che non d’altrui che dell’istessa mano
Aspettar possession debbe ciascuno
D’alto legnaggio uscito come voi,
E come han sempre fatto i nostri e noi.
lxiii
     Della famosa Gallia una gran parte
Refutò Febo, l’avo mio paterno,
Che scettro aver che da’ suoi primi parte
Non stimò degnità, ma indegno scherno;
Poi sette regni col favor di Marte
Acquistò solo, e fè il suo nome eterno
Trall’Orcadi, tra l’Ebridi e ’n Brettagna
E dove il cimbro mar la Daunia bagna,
lxiv
     Ma di tutti a i più cari fu cortese,
E l’onor si serbò solo, e la spada:
Nè, mio padre e suo figlio, ad altro intese
Ettore, che seguìo l’istessa strada.
Il medesmo oggi fa Giron Cortese,
Vostro proprio german, quantunqu’e’ vada
Di molt’anni a voi innanzi, e pure è nato
Del Franco seme il suo materno lato;
lxv
     E di quello e di noi tutt’altra aita
Schivando, e le ricchezze, intorno solo
Rivolge il passo ove l’onor l’invita,
Or dov’arde più il sole, or verso il Polo;
E per l’afflitta gente e sbigottita
Or abbatte quel regno or questo stuolo,
E portando di lauri antiche some
Cela quanto altrui può l’invitto nome.
lxvi
     Or seguendo, figliuol, sì nobil’orme,
Fate che d’esser voi vi risovvegna,
Nè smarrite di voi l’antiche forme
D’oprar cosa di quelle e d’onor degna.
Fuggite de’ vulgar l’abbiette torme
E la scuola de’ più, che solo insegna
Il posseder quaggiù terreno ed oro,
Della gloria sprezzando il bel tesoro -.