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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/87

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lxvii
     Da tai detto racceso, e di tal padre,
Il giovin Seguran, ch’ardeva in prima
D’alto desir dell’opere leggiadre,
Brama di tutti quei salire in cima:
E congiunte de’ suoi più ardite squadre,
E le quali a virtù più intese stima,
Con pochi legni al più gelato verno
Drizza le prore lor nel lito iberno;
lxviii
     E col favor di Pallade, che gli era
Sempre in ogni consiglio amica e fida,
Ruppe al primo arrivar possente schiera
Che di farlo fuggir seco s’affida,
Essendo ei tutto sol nella riviera
Del Boando disceso, ove s’annida
Col mar che lassa in ver Boote alquanto
Il promontorio alpestro di Novanto,
lxix
     Ove gli altri suoi legni risospinti
Fur dall’onde scendenti all’ora sesta,
Nè poter seco in guerra essere accinti,
Ned ei per tutto ciò ferir s’arresta.
Così questi primieri ed altri vinti,
In sue forze il terren quel giorno resta.
L’altro poi Lamoralto e nuova gente
Il viene a rincontrar, che i danni sente.
lxx
     Ma in questo la smarrita compagnia
Nello spuntar del giorno è posta in terra,
La quale aggiunta al gran valor di pria
Non avea dubbio alcun la nuova guerra.
Ma Lamoralto il fero alto s’udìa
Dir contro a lui: - Quanto vaneggia ed erra
Che si fida d’altrui che di se stesso,
Come la pruova poi gli mostra spesso!
lxxi
     Se voi sète il possente cavaliero
Che vorreste parer con l’arme in mano,
Sia posta la question di questo impero
Tra Lamoralto solo e Segurano:
Nè s’ingombre il terren d’altro guerriero
Nè si faccian perir le genti in vano.
Quanti compagni aviam, restin da parte,
E sol venga con noi Bellona e Marte -.
lxxii
     Il vostro Seguran, ch’altro non brama,
Patteggiando a battaglia si conduce,
Ove uccise il signor di altera fama,
Ottimo cavaliero e sommo duce.
Allor l’isola tutta allegra il chiama
Suo vero imperador, sua chiara luce;
E l’ha con tale amor poscia ubbidito
Qual mai fosse altro re per altro lito:
lxxiii
     E l’argentato scudo ch’esso avea
Col purpureo leon che quinci appare,
Fia per memoria all’onorata dea
Dell’opre illustri e delle glorie chiare
Dell’alto Seguran, perchè più rea
Non gli voglia giamai fortuna dare,
Ma miglior tutto il giorno, acciò che poi
La possa incoronar de i pregi suoi.
lxxiv
     Così la bella donna ha posto in mano
Della vergine Onoria sua donzella
Questo candido scudo che già in vano
Difese Lamoralto in su la sella;
A Lamia diede il vel dove in sovrano
Lavor Febo lucea con ogni stella:
Poi tenendo alto il core e gli occhi bassi
Della madre seguìa gli antichi passi,
lxxv
     La quale avea la gonna preziosa,
Che poco a lei davanti era portata
Da Marzia antica, che per madre ascosa
Del suo medesmo Albino era già nata.
Scendon nell’ampie logge ove si posa
Delle matrone poi la schiera ornata
Che dentro Avarco avea più nobil sede,
Di chiara pudicizia illustre erede.
lxxvi
     Così sen va l’onesta compagnia
Verso il tempio divin tacita e mesta.
Del sacro limitar le porte aprìa
Silvia, l’alta vestale, in bianca vesta;
Poi tutto il casto coro la seguìa,
Che ’n dolci note di laudar non resta
La dea che senza madre uscì di Giove,
Quella che ’nfonde il senno e l’arme muove.
lxxvii
     Ivi, poi che condotte a i divi altari
Fur la vecchia regina e l’alma figlia,
Presentando i bei don lucidi e cari
Mosser le donne e ’l tempio a meraviglia;
Poscia in caldi sospir grevi ed amari,
Tenendo fisse pur l’umide ciglia
Nell’imagin divina in alto assisa,
Disse Albina per tutte in questa guisa:
lxxviii
     Sacrata dea ch’al gemino valore
Sovr’ogni altro lassù l’impero stendi,
Trai dal lungo periglio e dal timore
Il tuo misero Avarco, e noi difendi;
E col Franco il Britannico furore
Dal tuo gran Seguran sepolto rendi
E dal tuo buon Clodino e Palamede,
Per quella che ’n te aviam secura fede.
lxxix
     Qui finito il pregar l’alta regina,
L’alma figliuola sua con l’altre insieme
Raffermando il suo dire a terra inchina
L’addolorata fronte, e piange e geme:
Voti faccendo a sua virtù divina
Che sciolto ogni timor ch’allor le preme
Nuovi doni offriran larghi e devoti;
Ma giro i preghi lor d’effetto vòti.
lxxx
     Or già l’antico re dall’alto sito
Onde veder potea l’orribil guerra
Tornato era all’albergo, e ’n parte gito
Che i più cari suoi beni a gli altri serra.
Seco ha sol due scudier, Mastore e Clito,
Che sovra gli altri amò, che nella terra
Già vandalica nati da i primi anni
Gli fur sempre compagni a i lunghi affanni,