Pagina:Alamanni - La coltivazione.djvu/173

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Non chiamata d’alcun, selvagge spanda
Le braccia in giro, e si mariti all’olmo
Che senza altro cultor gli ha dato il loco.

130Non si chiuda il giardin con fosso, o muro,
Dagli assalti di fuor, che questo apporta
Vana spesa al signor, né lunghi ha i giorni;
L’altro il ferace umor che ’ntorno truova
Nel suo profondo ventre accoglie e beve;
135Onde l’erbette e i fior, pallenti e smorti,
Non si pon sostener; ché il cibo usato,
Chi ’l devria mantener, gli ’ngombra e fura.
Più sicuro e fedel, più lungo schermo
E vie più bello avrà chi piante in giro,
140Dei più selvaggi prun, dei più spinosi,
Pungentissima folta e larga siepe.
L’aspra rosa del can, l’adunco rogo
(Che son più da pregiar) quando gli avrai
Ben contesti fra lor, terranno al segno
145Il furor d’aquilon, non pur le gregge:
Poscia al tempo novel fiorito e verde,
Spargon semplice odor che tutto allegra
Il ben posto sentier, prestando il nido
A mille vaghi augei che ’n dolci rime
150Chiaman lieti al mattin chi surga all’opra.

Son più guise al piantar; ma questa sola,
Con più dritto tenor, vivace e salda
La nutrisce e mantien mille anni e mille: