Pagina:Alamanni - La coltivazione.djvu/206

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Tanto fallace altrui, ch’io nol consiglio
Far, se non a color ch’abbian certezza
1020Del pregio raddoppiar con quei che sono,
Assai più che del buon, del raro amanti.

Qui che tutta la terra ha colmo il seno
Di bei frutti maturi e di dolci erbe,
Lasce il saggio ortolan la notte sola
1025Star la consorte sua nel freddo letto,
Né amor né gelosia più forza in lui
Aggian, che quel timor ch’aver si deve,
Ch’ogni fatica sua si fure un giorno.
Ove il dolce popone, ove il ritondo
1030Cocomer giace, ed ove intorto serpe
Colla pregnante zucca il citriuolo
Col suo freddo sapor, di paglia e giunchi
Tessa, ove possa star, breve capanna
All’oscura ombra; e ’l fido cane accanto,
1035Che lo faccia svegliar se viene ad uopo.
Quanti sono i vicin che dell’altrui
Si pascon volentier! quante le maghe
Che van la notte fuor, né curan pure
L’arme incantate del figliuol di Bacco;
1040Ma della pena pur, di ch’altri teme,
Caldo e nuovo desio le mena intorno!
E non pur questi; ma mill’altri vermi,
Mille mostri crudei fan trista preda
Delle piante e dei frutti a chi nol cura:
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