Pagina:Alamanni - La coltivazione.djvu/90

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A chi fura alla vigna il cibo e ’l latte;
Ma con profonde piaghe al ciel rivolga
480Di quell’erbe crudei l’empie radici
Che negli altrui confini usurpan seggio:
E ciò far si conviene innanzi alquanto
Ch’ella mostri i suoi fior; ché allora è schiva
Di qualunque crollando ivi entro vada.
485Ma guardi prima ben, che dentro o fuore
Non sia molle il terren, che troppo nuoce:
Poi con amica man d’intorno sveglia
Le frondi al tronco, che soverchie sono,
O che chiudan del Sol la vista all’uve.
490Così del tralcio la più acuta cima
Coll’unghie spunti, perché meglio intenda
Quella virtù che si sperdeva in alto,
A nutrir e ’ngrossar gli acerbi frutti.
Or poiché giunto al suo più degno albergo
495Della Fera nemea si sente Apollo,
E che ’l celeste Can rabbioso e crudo
Asciuga e fende le campagne e i fiumi;
Quando il crescente raspo a poco a poco
Già si veste il color aurato o d’ostro,
500La terza volta alfin ratto ritorni
A rivolger la terra il buon cultore,
Perch’al suo maturar s’affrette il tempo:
Ma questo adopre alla surgente aurora,
O quando fugge il dì verso l’occaso;
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