Pagina:Albertazzi - Novelle umoristiche.djvu/275

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il falcone 261

il becchime che gettava, così rideva se a diporto il palafreno saltasse imbizzarrito o adombrato, o se nell’arazzo da rammendare le riuscisse peggio che lo strappo il rattoppo; e mentre cuciva presso la finestra, dalla quale scorgeva l’ampio paesaggio a basso e d’intorno, ella cantava e i villani, giù nella valle, udivano limpide e schiette le cadenze della sua bella voce.

Gioconda natura! Per essa madonna Ginevra era amata dai servi, quantunque fosse anche temuta perchè gli occhi del padrone vedevano tutto con gli occhi di lei e perchè ogni capriccio di lei diventava la volontà del sire. Solo Ugo il valletto la serviva baldanzoso e sicuro, e quando fallava sapeva vincerne lo sdegno fingendosi egli sdegnato e mesto; sicchè lei finiva con immergergli le dita tra i capelli folti, per ridere. Ugo allora si divincolava e la guardava tutta in un’occhiata.

Veramente molte cose erano permesse a Ugo. Poteva arrampicarsi su per gli alberi dell’orto a inzepparsi di frutta; poteva ordire le più strane burle al vecchio maggiordomo o assestare un pugno allo scudiero che gli minacciava un pugno; poteva spiare dietro una porta l’ancella che si stava spogliando; chè, accusato alla padrona, la padrona rideva, e accusato al padrone, il padrone taceva.

Ma quand’ebbe compiuti i quindici anni il valletto parve mutare costume, e il signore notò lo studio di lui a imitarlo affinchè nessuno,