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262 il falcone

neppure madonna Ginevra, lo considerasse più un ragazzo. Egli stesso, Ugo, sentiva mutarsi; sentiva una smania di cose nuove, d’altri svaghi, d’altri luoghi, d’altri pensieri; mentre la vita e la natura che fervevano attorno a lui gli rivelavano cose sconosciute e gli suscitavano sensazioni nuove. E intanto che la forza sensuale si sviluppava in lui e per l’istintiva penetrazione della pubescenza egli imparava da tutta la natura il segreto dell’amore, quel desiderio peranche indefinito gli avvolgeva il cuore di una insolita tristezza e tenerezza. Amava, già amava, senza sapere chi amasse e senza sapere che amava.

Ma risalendo un giorno dalla valle al castello (era di fitto meriggio e sotto la forza del sole il mondo dormiva d’un sonno fervido) Ugo a un tratto udì cantare lontana, dall’alto, simile a un’allodola, madonna Ginevra; e d’un tratto l’imagine incerta del suo desiderio e de’ suoi sogni acquistò ai suoi occhi sembianza e forma di persona viva: madonna Ginevra!

La sera nel porgere, avanti cena, l’acqua alle mani della padrona, al valletto tremavano le mani. Egli se n’accorse, sebbene non chinasse lo sguardo; amava da uomo; senza paura amava, e senza vergogna.

Quante consolazioni nell’avvenire la sua mente innamorata ebbe allora da fantasticare! Secondando i ricordi delle storie, che gli avevano raccontate a veglia, di cavalieri fatti eroi per