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il falcone 269


Quand’ecco s’udì il corno in lontananza e uno scudiero venne ad annunziare che il castellano arrivava in compagnia di più ospiti. «Chi sa — riflettè madonna Ginevra — che a vedere il padrone non lo domi la vergogna?»

Così quando nel tinello, in cui su la tavola imbandita col più ricco vasellame fumavano le vivande, il sire chiamò Ugo, la moglie gli disse: — È a letto da tre giorni, e non tocca cibo, per un capriccio. Provatevi voi a rimettergli il giudizio.

Il marito volle andare a vederlo; ed essa lo seguì.

— Cos’hai? — domandò il sire entrando.

Ugo rispose: — Un peso qua, alla bocca dello stomaco, che non mi va giù niente.

— Non è vero! — ribattè subito la dama. — Non è vero! Per il male che ha, potrebbe mangiare, — Poi rivolta a Ugo disse: — Adesso io gli dirò perchè digiuni da tre giorni. Mangerai?

— Voi potrete ben dire. Io non mangerò — rispose. Raccoglieva gli spiriti a vincere, morendo, la battaglia; e il signore, cui piacque quella risposta così franca e cui dava sospetto l’aria misteriosa della moglie, già incolpava la moglie di qualche torto verso Ugo. Ma Ginevra soggiunse: — Il giorno che partiste, a sera, osò entrare nella mia camera mentre mi spogliavo.... — ; onde il sire capì che il torto era proprio del ragazzo e: — Perchè? — le domandò impaziente.