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Pagina:Albertazzi - Top, 1922.djvu/148

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146 Adolfo Albertazzi


«Mentre che siete stato lontano (essa gli scriveva), per non perdere l’anima insieme col corpo, ho pregato Iddio che rompa il fisso pensiero che di voi avea... e fui esaudita».

Non le credette. E lei:

«Io conosco il vostro amore verso me, fuori di ogni mio merito, ardentissimo, e confesso di aver ricevuto da voi quantità di cortesie, che quando anche spendessi mille volte la vita per voi, non pagherei la minor di quelle. Ma perchè io mi sono deliberata di voler rimettere tutte queste vanità corporali, rivolgere l’animo a Dio e riconoscerlo per mio Signore vivendo vita cristiana, vi prego che non vogliate romper questo mio proponimento col molestarmi ogni ora colle vostre lettere...».

No no... non le credeva; Alvise sospettava il tradimento.

Infatti non pentimento, non rimorsi l’avevano mutata così, ma la colpa di lui che era stato lontano quattro mesi e non le aveva scritto neppure una lettera. E non s’era mutata così come diceva: aveva davvero un amante. Un giorno Alvise vide che nell’altana, ove si biondeggiava i capelli al sole, accoglieva Fortunio. Fortunio, quello delle lettere anonime! Fortunio il delatore!

Essa negò. Ma Fortunio, per vanagloria e paura a un tempo, disse al Pasqualigo: — È vero — . Lei stessa, madonna Vittoria, l’aveva tratto a sè.