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Compassione e invidia 153


crede d’illudermi»; e Aido Varni pensava dell’amico sfortunato: «Poveromo! Non sa stare al mondo, e spera che io non capisca!».

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Con tale accordo e reciproca conoscenza erano venuti a un tacito patto: tener a distanza, l’una dall’altra, le mogli. Il pensiero che esse, figurate tanto dissimili, avessero da trovarsi insieme, metteva in loro l’apprensione della cosa mostruosa o assurda. E ciascuno dei due quand’era con la moglie si studiava d’evitar l’amico paventando che questi potesse scorgere in lei particolari nuovi, o differenze dal ritratto che ne aveva ricevuto, e accusar di finzione o dissimulazione il giudizio maritale. Ma l’uno come l’altro appena a casa, ogni giorno, riferiva alla sua signora le contrarie prodezze della signora dell’amico; e quelle poverine sottintendevano bene nel riferimento un’intenzione non ingenua. «Gilda — pareva voler dire Aldo Varni a sua moglie —, il mal esempio della Bragozzi valga a renderti sempre più perfetta» — «Ah Cloe! — significava Michele Bragozzi —; se tu imitassi un po’ la moglie di Aldo e provassi anch’io qualcuna delle sue gioie!» . Di qui antipatia e astio fra le due donne, che non s’eran mai scambiata una parola; e la irresistibile voglia, che esse «bbero, di conoscersi almeno di vista.

Ci riuscirono presto. Ed ecco con che effetti.