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Il cane dello zio Prospero 23


Il quale, spalancata d’un salto la porta, entrò, e a veder Diego Tarelli gli fece la festa dovuta a un caro amico.

— Top! Top! — Il giovine non potè fingere di non conoscerlo.

Allora un sospetto balenò alla mente del signor Prospero. Strinse gli occhi sotto le ciglia folte e lunghe. Dimandò, cupo:

— Vi conoscete?

— Chi non conosce Top? Tutto il paese! Io poi ne sono un ammiratore; e appunto perciò sono venuto a disturbarla, signor Prospero. Me lo vende? a qualunque prezzo...

«Me lo vende?» Ahi ahi! Cotesta dimanda, cotesta proposta, urtando nel sospetto che tornò a insistergli in mente, strappò, a un tratto, fuor di sè lo zio. Parve investir il visitatore, minacciarlo con la gabbia in mano. — Vendere, io, Top?

Vendere Top, la sola creatura affezionata che, perduta Elena, gli resterebbe al mondo, almeno per qualche anno?

— Vendere il mio cane? — ripetè più forte. — Io? Top?

E prima che l’altro potesse articolar parola, tanto era rimasto sorpreso da quella veemenza, seguitò:

— E voi dite di essere, di voler essere cacciatore? No! — gridava e gli agitava, avanti e indietro, sotto il naso, la mano sinistra con l’indice teso —. No! Cacciatore tu, giovinotto, non sarai