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La fiumana 49


Già, avrei dovuto scendere; abbandonar cavallo e biroccino; perderli, che la piena qui, sboccando dal letto stretto e fondo, rovescierebbe e si porterebbe via un paio di buoi con il carro. Ma mi ero impuntato anch’io. Se il restio è un male — pensavo —, un male più grande lo scaccerà. E mi misi a picchiare il cavallo col manico della frusta tenendolo a due mani. Botte da accopparlo. E niente; come niente!

Disperati, mia moglie e i miei figliuoli, che mi vedevan me là in mezzo e vedevan la piena che arrivava arrivava, ora chiamavano aiuto. — Aiuto! aiuto! — Aiutarmi chi? Non c’eravam che noi, in questa parte, a quel tempo. Aiutarmi in che modo?

Mentre bastonavo e bastonavo, da matto, voltai l’occhio... Mi si drizzan i capelli in testa anche adesso a ricordarmene; mi si gela il sangue nelle vene. L’acqua torba raggiungeva la chiara, dilagava furibonda; le onde...

Stavo per diventar matto davvero; per saltar giù dal biroccino. Se salto giù, mi annego. Le onde tra pochi momenti erano alle ruote, le dico! Gridai: — I miei figliuoli! — E... Dio! Dio! Il cavallo si slancia; in due, tre balzi trascina il biroccino fuori dell’acqua, si avventa attraverso la secca e su, di galoppo, per la riva: su! su! siamo nella strada. Ah!... Salvo! Come dentro a un sogno vedo le facce bianche della mia donna e dei miei figliuoli che mi guardavano senza più