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Francesco mio... 93


tutta in un litigio unico, tremendo, continuo, enorme, insopportabile. Che cattiveria! Ne soffriva sebbene non ci avesse nè arte nè parte, e con i nervi eccitati e il batticuore si rifugiava al convento, là, fuori di porta.

A mezzogiorno i frati gli davano un mestolo di zuppa, e l’ingollava seduto sul gradino, alla cella di San Francesco. Dormendo, dopo, sul gradino, chetava in sè il tumulto della vita sociale; e risvegliandosi e rialzandosi restava a conversare un po’ col santo, che lo rincorava, da buon amico anche lui, nei dialoghi immaginari.

Pater, Ave e Gloria. Poi Mattucco tornava in paese, a intrattener le bestie — che bontà! —, e a paventar gli uomini — che cattiveria!

II.

Sotto il portico, a un lato della chiesa francescana, era la cella del Santo e della Pietà.

La Madonna, assisa su di un masso, reggeva il capo al divin figliuolo e piangeva: giaceva, morto, il Signore; livido e sanguinante. E, separato, di contro, San Francesco con la faccia benigna volta a coloro che sopravvenivano, tendeva la destra accennando al sacrificio e con un mesto sorriso significava ai visitatori giudiziosi:

— Guardate e pregate, fratelli!

I visitatori guardavano e talvolta pregavano. E poichè le statue erano colorate al vivo, alte come